Silenzio: parlano le mani

Quando c’è silenzio intorno è facile sentirsi a disagio: un po’ perchè è una dimensione poco comune oggi, un po’ perchè l’ assenza fisica di qualsiasi rumore ci provoca una sensazione di ‘mancanza’ , difficilmente compensabile.

Gli stimoli sono  – voluti o meno – il nostro sottofondo che ci riempie il quotidiano.

Lo spazio dell’altare della Chiesa di San Spiridione di Reggio Emilia prima dei lavori di installazione della mostra ad opera degli artigiani restauratori de Il Restauro srl di Villa Sesso (R.E.)

La mostra fotografica di Michael Kenna, “Confessionali”, allestita nei giorni scorsi a Reggio Emilia, ha come cifra di lettura proprio il “silenzio”:   è un punto di vista  alternativo, da utilizzare quando si osservano le cose per coglierle attraverso lo sguardo nei loro accadimenti e nella loro essenza.

E le cose che stanno lì da tanto tempo, senza clamore nè richiami, hanno tanto da dire, anche attraverso il paradosso del loro “vecchio”.

Confessionale della Chiesa di San Prospero di Reggio Emilia

Così è per questi manufatti – i confessionali – che, al di là delle connotazioni religiose e ideologiche, al di là della loro estetica non sempre conforme ai canoni  del ‘bello’, sono paradigmatici di un vissuto generazionale, oltre ad essere un’opera realizzata ed “abbellita” per uno scopo principale: la confessione. Quelle pareti di legno sicuramente hanno assorbito un profluvio di segreti, sentenze e pentimenti che oggi scorrerebbero davanti a noi con impietoso cinismo!

Tuttavia, adottando uno sguardo diverso, come quello di chi semplicemente osserva i lavori di allestimento della mostra,  si ha l’occasione di assistere ad un tipo di  bellezza simile a quella che si gode in uno spettacolo di teatro.

sullo sfondo Mauro, uno degli artigiani de Il Restauro srl di Villa Sesso (R.E.) durante i lavori di installazione della mostra di Michael Kenna “Confessionali” a Reggio Emilia dal 21 ottobre al 26 novembre 2017

Dentro alla cornice suggestiva della Chiesa di San Spiridione , a fianco della mostra, convive infatti anche un’altra narrazione, ugualmente importante. Lo scenario è quello di un ex pio luogo dei mendicanti, e probabile oratorio della sezione femminile, ricostruito nel 1736 ad opera di Andrea Tarabusi, affrescato negli anni successivi dal modenese Francesco Vellani, quindi diventato albergo dei poveri e infine orfanotrofio della città. Un luogo nascosto anche agli stessi abitanti di Reggio Emilia, in uno spazio semibuio e decorato tanto riccamente da emanare un carattere che “domina” ma che fa “tendere verso altri pensieri”.

vista dell’interno della Chiesa di San Spiridione di Reggio Emilia verso l’ingresso

Lì si è svolto il lavoro degli artigiani de Il Restauro Srl che non hanno restaurato nessun pezzo storico ma hanno montato la struttura moderna della mostra dal forte impatto nel contesto settecentesco della Chiesa.

vista dall’esterno della Chiesa di San Spiridione durante i lavori degli artigiani de Il Restauro srl di Villa Sesso (R.E.)

Altri  personaggi dietro le quinte della mostra sono stati il regista Rai Fabio Nardelli,  presente per il programma Il Sabbatico, l’editore Andrea Casoli di Corsiero Edizioni che  ha curato l’evento e l’architetto Stefano Lodesani , ideatore del progetto di allestimento.

Aldo e Mauro, due degli artigiani de Il Restauro srl di Villa Sesso (R.E.) al lavoro per l’allestimento della mostra e il regista Fabio Nardelli intento alle riprese

Al consumista compulsivo – suo malgrado o per  scelta – gioverà vedere il lavoro delle cose ben fatte. Quel lavoro contiene gesti  e scelte  che rendono il tutto godibile e “consumabile” anche ben oltre il momento della fruizione immediata, pur essendo il “dietro alle quinte” non direttamente visibile.

il progetto di Stefano Lodesani dell’allestimento della mostra fotografica di Michael Kenna “confessionali” 21 ottobre-26 novembre 2017

momenti dell’installazione dei pannelli decorativi della mostra “Confessionali” di Michael Kenna a Reggio Emilia dal 21 ottobre al 26 novembre 2017 da parte degli artigiani de Il Restauro srl di Villa Sesso (R.E.)

Aldo e Andrea de Il Restauro srl di Villa Sesso (R.E.) mentre sistemano i pannelli decorativi della mostra “Confessionali” di Michael Kenna a Reggio Emilia dal 21 ottobre al 26 novembre 2017

momenti duranti i lavori degli artigiani de Il Restauro srl di Villa Sesso (R.E.)

Anche le dinamiche tra chi lavora, tra chi c’era e chi non c’è, hanno un proprio significato: la gente si muove, parla, passa parola, si soddisfa e avvia una reazione a catena con ricadute sul territorio e sulle le istituzioni – presenti o assenti  – e tutti possono beneficiarne: da chi viene in visita, chi parla per raccontare da critico la mostra, chi espone, chi ha prodotto il catalogo, chi ha fatto le riprese, chi ha progettato l’allestimento, fino a chi lo ha realizzato e così via, in un processo di circolazione del valore di quelle idee che facilmente genereranno altri interventi, o almeno avranno dato lo stimolo per bisogni simili.

Insomma il tempo, la competenza il saper fare generano un indotto che si può riprodurre e che a sua volta può generare altro valore.

Si tratta di mestieri tradizionali – in particolare quello dellartigiano restauratore – che si sono riadattati alle nuove richieste (quelle del mercato dell’arte) e che hanno messo  a disposizione della domanda le loro conoscenze e competenze.

Aldo e Mauro de Il Restauro srl di Villa Sesso (R.E.) mentre sistemano i pannelli decorativi della mostra “Confessionali” di Michael Kenna a Reggio Emilia dal 21 ottobre al 26 novembre 2017

Andrea e Aldo de Il Restauro srl (Villa Sesso- R.E.) mentre sistemano i pannelli decorativi della mostra “Confessionali” di Michael Kenna a Reggio Emilia dal 21 ottobre al 26 novembre 2017

veduta dall’alto dei lavori di allestimento completati

Andrea de Il Restauro srl prima di posizionare i quadri

Fabio Nardelli intento nelle riprese

Allora questo “silenzio” che è  anche “silenzio del mistero” e che secondo i maestri religiosi porta al pensiero illuminato per raggiungere l’essenza delle cose e del mondo, dovrebbe oggi portarci ad urlare ‘basta’. Basta all’eccesso di rumore, basta al consumismo tout court, all’isolamento gli uni dagli altri in cui l’economia ci vuole cacciare per riforgiarci a suo piacimento e renderci solo e sempre “consumatori” facendoci credere che fuori da lì non c’è un senso al nostro esistere.

“Tutto il nostro paese, che fu agricolo e artigiano (cioè colto), non sa più distinguere nulla, non ha educazione elementare delle cose perché non ha più povertà. Il nostro paese compra e basta. (…)

Il nostro paese è un solo grande mercato di nevrotici tutti uguali, poveri e ricchi, che comprano, comprano, senza conoscere nulla, e poi buttano via e poi ricomprano. (..)

I ragazzi non conoscono più niente, non conoscono la qualità delle cose necessarie alla vita perché i loro padri l’hanno voluta disprezzare nell’euforia del benessere”.

(Goffredo Parise – “il rimedio è la povertà”)

Confessional, Study – Foto di Michael Kenna – Chiesa di Santi Pietro apostolo e Prospero vescovo, Reggio Emilia- 2007

Ci servirebbe davvero un po’ di silenzio. Senza i rumori che tanto ci attraggono ma che ci distraggono dal capire .

Lì si incontra sempre un inaspettato affollamento di vita.

Eigteen birds – foto di Michael Kenna – Reggio Emilia 2007

 

Mani, Macchine, Ingegno e Creatività? Cosa ci serve ?

-Perché queste donne spaccano le pietre a mano mentre le macchine restano ferme in un angolo?
– Perché così lavorano più persone che con le macchine non avrebbero invece un salario. La manodopera fa lavorare in tanti.

Così rispondeva una guida in India alle domande dei curiosi sul lavoro che lì si faceva mentre le macchine stavano ferme ad arrugginire.

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Locali delle Officine Meccaniche Reggiane – foto  luglio 2017 @maninmente

Negli spazi delle Ex Officine Meccaniche Reggiane, il quartiere industriale dismesso, dietro alla stazione di Reggio Emilia, si respira un’aria che sa dell’esatto contrario: un’area immensa, prima popolata da tutti gli addetti di quell’industria meccanica che oggi sopravvive in buona parte abbandonata e svuotata.

Sullo sfondo delle rovine campeggiano i murales e i graffiti delle pareti, in un’atmosfera in cui si sente soprattutto l’eco delle riflessioni impossibili da evitare qui.

Edifici esterni nel quartiere delle Ex Officine Meccaniche Reggiane – foto Luglio 2017, @maninmente

In questo enorme contenitore di quasi 300.000 mq, dove dal 1904 sorgono le OMI,  Officine Meccaniche Reggiane meglio conosciute come le Reggiane, ha sede il più grande parco d’Europa di Street Art.

Diversi artisti, dai più noti ai meno famosi, hanno lasciato il loro segno : Rhiot, Gas, PsikoPatik, Caker e Collettvo FX, Hang, Bibbitó, Reve+, Lante , Astro Naut, ecc.  Fare un elenco di tutti pare impossibile.

Interni di uno degli edifici nel quartiere delle Ex Officine Meccaniche Reggiane – foto Luglio 2017, @maninmente

Lì dentro c’è una dimensione della memoria che sfugge guardandola oggi. Il presente dell’area è degrado e abbandono, e la sua espressione più forte sono il silenzio e le tracce di qualche abitante abusivo  (senza tetto, balordi, disperati).

Stando alle notizie più recenti le istituzioni provvederanno al recupero ed al rinnovamento di un’ulteriore porzione mentre silenzioso continua il movimento spontaneo di riappropriazione di quei muri con gli street artist che  li “pittano” dal 2012, facendone un punto di riferimento per la street art nazionale e internazionale.

graffiti all’interno dei locali abbandonati delle ex Officine Meccaniche Reggiane – foto agosto 2017 @maninmente

Una forma artistica spontanea per andare alla ricerca di una nuova identità che prenda il posto di quella originaria degli operai di quella grande industria, coi loro significati ormai superati, alla ricerca di un “estremo presente”  che ancora non sappiamo bene decifrare.

Murales delle Officine Meccaniche Reggiane – foto luglio 2017, @maninmente

Che ne sarà di quel lavoro, di quelle competenze e di questi spazi?  Che ne sarà di noi che nel lavoro ci rappresentiamo ed abbiamo ancora quello come unico modello di riferimento importante?

Qui lavoravano circa 12.000 dipendenti; qui hanno avuto luogo importanti fatti storici del secondo conflitto mondiale (il bombardamento dell’area il 7 e 8 gennaio 1944, i 368 giorni di occupazione di protesta dei lavoratori e l’eccidio dei 9 operai nel 1943); qui oggi c’è un tecnopolo ed è in corso di realizzazione un importante progetto di recupero urbanistico.

Sono strati sovrapposti di storia che raccontano dei cambiamenti di quella originaria città di 70.000 abitanti con la sua provincia, e le sue persone.

Come non fare delle riflessioni?

La storia delle Officine Meccaniche Reggiane.

resti di un edificio delle ex Officine Meccaniche Reggiane, foto agosto 2017, @mninmente

La prima di queste, parte da qui: le Reggiane sono state

un’azienda di alto profilo tecnologico, … che doveva agire nel deserto industriale dell’Italia fascista (e dell’Emilia ancora agricola e rurale), costretta  a scontare i limiti del ritardo dello sviluppo produttivo ed economico del paese…” e che iniziava 60 anni dopo l’avventura  della tedesca Siemens ( così M. Storchi, responsabile dell’archivio storico di Reggio Emilia, nell’introduzione del libro “Reggiane- cronache di un grande fabbrica” di M. Bellelli).

Questa iniziativa imprenditoriale dei primi del 900 che ha in Giuseppe Menada il suo deus ex machina,  è stata per la città di Reggio e i  dintorni una vera e propria rivoluzione che ha portato l’attività industriale in un territorio quasi esclusivamente agricolo.

Un volantino pubblicitario dei prodotti delle Ex Officine Meccaniche Reggiane – foto Agosto 2017, @maninmente

Una fabbrica dove si costruivano carri ferroviari, strumenti bellici (proiettili, ogive ecc.), impianti e macchinari per molini, silos, risifici, pastifici e laterizi, aereoplani e motori per l’aviazione, armi e munizioni non c’era mai stata prima a Reggio, in Emilia. Gli unici grandi complessi esistenti erano quelli del triangolo industriale di Genova, Milano e Torino.

promozione prodotti Reggiane fine anni 30, dal libro ” Le Reggiane raccontano la città” di A. Canovi

Pochi non ricorderanno le immagini della gru per il recupero del relitto della Costa Concordia:  quella gru è stata costruita nelle Reggiane.

 E la storia delle attività delle persone da lì uscite.

“Allora, poter dire che eri un operaio delle Reggiane era un titolo…il sogno di un giovane, in una provincia interamente dedita all’agricoltura”…: 

questo è il ricordo di Aldo Magnani, un uomo del ’20,  prima operaio alle Reggiane e poi alla Maserati dal 1950 fino al 1960.

disegni di progett in uno degli edifici nel quartiere delle Ex Officine Meccaniche Reggiane – foto agosto 2017, @maninmente

Grazie al lavoro e alla formazione delle maestranze nelle scuole lì dedicate, i più intraprendenti tra gli addetti hanno potuto avviare numerose iniziative che rappresentano oggi la ricchezza imprenditoriale del nostro territorio.

Alle Reggiane hanno lavorato Emidio Benevelli, fondatore dell’azienda Benevelli Transaxles di Rubiera, Renato Brevini e il fratello Luciano,  padri di quella che oggi è una delle più importanti aziende nel settore, la F.lli Brevini, Michele Rossi ed Emo Campari della RCF (Radio Cine Forniture), Cesare Campioli, sindaco della Liberazione e fondatore dell’ azienda OMSO (Macchine di Stampa su Oggetti) leader mondiale e  Mirco Landini, delle omonime aziende Landini .
Senza dimenticare Emore Medici, ex operaio  che realizzò il modellino del celebre caccia Re2001, prodotto  negli anni Quaranta, e Franco Reggiani che si ricorda anche per il monumento alla Ferrari nei pressi del casello autostradale di Reggio Emilia.

Volumi delle Reggiane nell’Archivio storico di Reggio Emilia – foto settembre 2017 @maninmente

Impossibile di nuovo citare tutti, ma per tanti di loro vale il fatto che sono riusciti a mettere a frutto il bagaglio di capacità e competenze acquisito in quell’esperienza di lavoro realizzando per così dire “un’ epica”.

Questo bacino di manodopera ha generato, nel tempo e con le discontinuità che la vita reale comporta, la fioritura economica che oggi colloca le province di Reggio e Modena nel cluster della meccatronica. Ma ha anche prodotto soprattutto un trapasso conoscitivo  dotando le persone addette ai lavori di quello know how che poi ne ha fatto la fortuna.

Significativo è il fatto che da quella fabbrica sono uscite capacità individuali potenziate e non schiacciate dall’omologazione del lavoro a catena;  l’inventiva e l’intraprendenza del singolo hanno prevalso, così come ci è “italianamente” più consono.

resti di bombolette spray degli street artist, fuori nell’area delle ex Officine Meccaniche Reggiane, foto luglio 2017, @maninmente

Oggi.

E lì, in Via Agosti, delle Reggiane allora cosa rimane?

In concreto, ciò che si può  toccare subito con le mani e vedere con gli occhi, sono solo quei muri dipinti, suggestivi e talvolta violenti nel loro messaggio di protesta. Per il resto al momento rimangono gli sterpi, i detriti e le macerie per rivendicare nuova vita.

Molti da lì hanno potenziato le proprie abilità manuali; tanti hanno fatto fortuna. Ma tutto ciò è accaduto tempo fa.

Interni di un edificio nel quartiere delle Ex Officine Meccaniche Reggiane – foto agosto 2017, @maninmente

Oggi leggiamo di una ripresa che consiste in un inaspettato 1 virgola percentuale e che viene interpretata più come esito degli investimenti nella robotica che ad altri tipi di produzione manifatturiera.

Cosa significa? Che i grandi problemi rimangono perchè questa crescita non necessariamente genera incrementi significativi di occupazione.

Si contestano le piccole dimensioni delle imprese economiche nazionali ma, come dimostra l’avventura delle Reggiane, forse noi – italiani – non riusciamo a sostenere dimensioni industriali importanti.

Il nostro punto di forza rimangono e rimarranno le dimensioni medio piccole, superate le quali solo le multinazionali ne potranno trarre giovamento.

Eppure la visione spicciola ma di buon senso che ci faceva intuire la guida indiana dell’inizio di queste pagine indicherebbe che tutti potrebbero lavorare al prezzo di un abbassamento tecnologico dei modi di produzione.

Ma il mondo non va più così .

murales alle ex Officine Meccaniche Reggiane, foto luglio 2017, @maninmente

Anche l’atelier dell’artista sparisce?

Per enfatizzare fino al paradosso (che poi non lo è tanto) il pensiero, all’ultimo festival della filosofia ,  Franco Vaccari  artista modenese – dichiarava che non esiste più l’atelier. Cioè nell’arte – Vaccari in tal senso si riferiva all’arte concettuale – il “fare”, la produzione a mano,  non esiste più.  Gli sopravvive non tanto l’oggetto artistico quanto piuttosto il concetto artistico, cioè l’ idea e la creatività. 

Rinoceronte dell’artista belga Dzia, nei muri delle ex Officine Meccaniche Reggiane, fotografia del luglio 2017, @maninmente

Sarà un paradigma della nuova narrazione che ci aspetta?
Dovremo soprattutto pensare, ideare, creare e progettare? Saranno queste le nuove competenze con le quali potremo colmare il gap tra occupazione e disoccupazione?

Sono domande importantissime, molto significative di questi tempi in cui, prima di riuscire a dare delle risposte concrete, i molti  senza le competenze utili per poter pensare, progettare, concettualizzare il loro lavoro non ne usciranno indenni . Per non parlare poi, più poeticamente, di quelli che sono appassionati del loro lavoro, fatto con le mani. Innamorati del piacere che il fare restituisce rispetto al pensare.

Oggi non ci sono le risposte ma leggendo l’evoluzione del passato sino ai nostri giorni conviene prepararsi a prendere le strade che si aprono davanti cogliendo subito quello che serve per attrezzarsi.

Così facendo si può spingere anche chi ha le redini politiche a fare scelte più efficaci.

Sfiggy, murales e personaggio di Alessio Bolognesi, Ferrara, classe 1978. Nelle ex Officine Meccaniche Reggiane, foto agosto 2017, @maninmente

Un ringraziamento speciale a Massimo Storchi, responsabile 
dell'Archivio Storico di Reggio Emilia, che mi ha fornito preziose
informazioni e mi ha mostrato l'archivio. 
Grazie anche a Michele Bellelli, autore del Libro "Reggiane, cronache di
una grande fabbrica italiana" a cui mi sono appassionata per scrivere 
di questo argomento.
Grazie anche ad Annalisa che per prima mi ha accompagnata in questo splendido luogo.
Da non perdere a Reggio Emilia, il prossimo mese di novembre 2017,
l'importante mostra dedicata alle Reggiane.

Il make up artist per effetti speciali: un lavoro per facce belle o spaventose.

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foto presa in strada durante Lucca Comix & Games

Era il 1967 quando il saggista francese Guy Debord pubblicava il libro “La società dello spettacolo”, anticipando una tendenza che oggi ha raggiunto quasi il suo paradosso. Se nella società c’è in generale uno spostamento verso gli aspetti più immaginifici, nel cinema, anzi, in un suo preciso genere (il fantasy, il fantascientifico e l’horror), l’elemento fantastico, o della meraviglia, è diventato uno degli aspetti prevalenti rispetto ad altri linguaggi.

Taluni film di successo sono costruiti non tanto sullo sviluppo della vicenda e sul carattere dei personaggi, quanto proprio sugli effetti speciali. L’elemento fantastico – il genere che più ne contiene –  rappresenta un aspetto che tendenzialmente affascina di più lo spettatore  di quanto riesca invece la descrizione realistica degli eventi, perché lascia la narrazione aperta a varie interpretazioni. Non vi si parla di vita quotidiana nè dell’esperienza concreta di ciascuno, ma si rivolge a un futuro (o a un presente e a un passato) che ogni volta si modifica in base alle tecniche della rappresentazione.
Fuori dal cinema, tra la gente, c’è il vasto mondo dei travestimenti, un mondo che nel fenomeno dei cosplayer ha la sua manifestazione più evidente, e nei mascheramenti di Halloween, l’espressione recente più “spontanea”.

Tutti questi sono ambiti che, date le loro esigenze di trucco, travestimento ed effetti speciali, rappresentano i “luoghi” di lavoro del make up artist.

Andrea

Nel febbraio di quest’anno ho conosciuto Andrea: è lui che mi ha mostrato questo mestiere.

Corso in special Make Up (effetti teatrali) dell’Accademia Teatro alla Scala – foto: A.Neotti

 

Andrea Masi è un giovane ventottenne, make up artist, originario di Varese e diplomato di recente allAccademia Teatro alla Scala . Il suo percorso di studi è iniziato al liceo artistico ed è poi proseguito alla BCM (Beauty Center of Milan) e con un master in effetti speciali e body painting di Donatella Mondani. All’Accademia ha appreso le tecniche e le competenze per svolgere tutte le attività che riguardano la predisposizione del trucco – prima e dopo l’entrata in scena degli artisti – ma ha anche conosciuto personalità importanti del mondo dello spettacolo, in un ambiente stimolante, animato dagli allievi-colleghi e da insegnanti qualificati. Oggi Andrea si occupa sia di effetti speciali – come truccatore di scena di cinema, teatro o televisione – che di trucco tradizionale (per attori, spose, modelle, ecc.).

Come funziona il mestiere.

bozzetto preparatorio di Andrea per la protesi de “Il fantasma dell’opera”- foto A. Masi

Il mondo degli effetti speciali, secondo la definizione dell’enciclopedia Treccani, è il complesso di tecniche o trucchi utilizzati in ambito scenico per creare un’illusione di realtà. Un modello nuovo rispetto al cinema delle origini (rimasto immutato per decenni), che punta su una diversa dimensione del tempo e dello spazio. L’era digitale ha introdotto tecniche specifiche in base alle quali la caratterizzazione dei personaggi si può sviluppare sia attraverso la computer grafica che manualmente, appunto col make up per effetti speciali. Invecchiare un attore, piuttosto che renderlo somigliante ad un determinato personaggio, richiedono competenze complesse. E’ un mestiere insolito, così come fuori dal comune sono i contesti in cui lavora. Richiede manualità – moltissima – e approfondite conoscenze dei materiali – soprattutto per quanto riguarda il make up prostetico  – e delle cromie estetiche del viso su cui interviene.

"maquette" di Andrea cioè lo studio preparativo di dimensioni inferiori a quelle naturali che serve a capire come sarà l'aspetto e i volumi della creatura finita

“maquette” di Andrea :studio preparatorio dell’aspetto e dei volumi della creatura finita – foto di A. Masi

Il processo di produzione di un make up prostetico si sviluppa in diverse fasi: dall’idea di partenza si passa alla realizzazione del concept grafico. Ci si dota dei materiali utili, come il silicone, il lattice ed altri materiali sensibili al contatto e leggeri, per avvantaggiare chi dovrà indossare la protesi o maschera. Quindi si passa ai calchi del modellato ed infine al colaggio del silicone (o della schiuma di lattice o del lattice, in base al tipo di materiale e di resa desiderata) che, qualora necessario,  verrà eventualmente precolorato.  Una volta che il materiale si è asciugato, si precolora la protesi e – se coerente col concept – si posizionano i peli facciali. Dopodichè si passa all’applicazione della protesi sul modello: questa fase richiede da una fino a 7 ore di lavoro. Finita l’ applicazione e lo stuccaggio di eventuali difetti, si passa alla colorazione definitiva. Ed il miracolo della trasformazione prende definitivamente il via!

Gli interventi di make up di Andrea

dimostrazione di applicazione in lattice di Andrea

Chi è il make up artist ?

Per capire il mestiere prendiamo Andrea: lui ama la creatività e la manualità che servono per concretizzarla. Ha scelto di fare il make up artist perché questo lavoro richiede competenze di scultura non meno che  di ricerca scientifica e di osservazione. Inoltre il trucco ha caratteristiche che nessun’altra arte contiene: il trucco è plastico – ha un ‘effetto 3D’ – ma soprattutto il trucco vive di vita propria nei soggetti su cui è stato applicato. Ad Andrea piace che le sue idee si trasformino in qualcos’altro, che si autorigenerino su un modello vivo, creando a loro volta nuove idee. Gli piace questa trasformazione continua, che conduce ad esperienze diverse.

La computer grafica è tuttavia uno strumento ed una tecnica particolarmente efficace sul piano degli effetti finali e dalla quale in determinate esecuzioni non si può prescindere.   Ma l’effetto del lavoro con le mani sulla  materia viva è un’esperienza diversa, più vicina alla reale umanità, con le sue imprecisioni e gli  impercettibili difetti.

Per Andrea questo è il lavoro più bello del mondo. Oltre alla tecnica, il mestiere richiede anche un’importante capacità di relazione: quella che serve per creare un rapporto col modello-attore e a trovare contatti nel mondo dello spettacolo. Ma soprattutto, serve avere una storia e qualcosa da raccontare.
Di tutti gli ambienti di lavoro il teatro è quello che predilige perchè nella sua esperienza si è dimostrato come il più autentico. Lì l’atmosfera è magica. Tuttavia, per quanto si possa trattare di ambienti di lavoro sereni e divertenti, non si può dimenticare che servono sempre metodo e disciplina, i requisiti  fondamentali di ogni attività professionale.

dimostrazione di applicazione in lattice

dimostrazione di applicazione in lattice di Andrea

Per capire questo mestiere però bisogna  guardare all’oggetto della creazione in un modo aperto: sia che si tratti di mostro o di angelo – qualcosa che suscita o odio o amore nell’osservatore  e che comunque non lo lascia indifferente – il trucco o la maschera nascono dall’elaborazone di idee non meno che da un processo produttivo con competenze importanti. Dall’idea – un progetto personale – si arriva ad un prodotto scultoreo antropomorfo, che incorpora le leggi dell’anatomia e della tecnica dei materiali. Di quel personaggio si immagina il carattere, di cosa si nutre, a chi deve assomigliare; lo si fa vivere idealisticamente poi lo si crea, concretamente, pensando con quali materiali realizzarlo per il comfort e la verosimiglianza dell’attore.

Programmi televisivi come Face off non sono il modo migliore per capire il lavoro di make up artist : queste spettacolarizzazioni fini a sé, pur incuriosendo il pubblico dei profani,  semplificano la realtà di un mestiere molto complesso, dai tempi di realizzazione lunghissimi e che richiede esperienza e competenze sul campo.

sequenza nella quale, sono distinte le 4 fasi principali della realizzazione della protesi , ,modellato, realizzazione nel materiale deciso, precolorazione della protesi ed applicazione- Foto di A. Masi

sequenza nella quale sono distinte le 4 fasi principali della realizzazione della protesi: modellato, realizzazione nel materiale scelto, precolorazione della protesi ed applicazione – foto di A. Masi

La bellezza insolita nella storia del make up artist .

protesi siliconica di Giuseppe Verd

protesi siliconica di Giuseppe Verdi

Nel travestimento c’è tutta la storia delle maschere e quindi della Commedia dell’arte italiana. Ci sono in pratica radici tutte italiane, che tuttavia, ad oggi, si sono disperse nel tempo. In effetti l’unica importante agenzia nazionale di effetti speciali è Makinarium , di cui è recente il lavoro più famoso e pluripremiato, “Il racconto dei racconti”.

Gli effetti speciali non hanno una data di inizio precisa. Pioniere del genere fu Ray Harryhausen che con lo stop-motion, o tecnica a passo uno, creava figure fantastiche. Di lui si ricordano soprattutto I viaggi di Gulliver del 1960 o Il viaggio fantastico di Sinbad del ’74, anche se i suoi primi film risalgono agli anni ’40.

Prima di lui, Georges Méliès, considerato il padre del cinema ad effetti speciali, ricorreva soprattutto ad effetti di montaggio e di esposizione multipla della pellicola o alla sua colorazione a mano. La famosa luna con il razzo nell’occhio ispirata dal libro di Jules Verne “Dalla terra alla luna” potrebbe essere il primo effetto speciale di cui si ha memoria – secondo i parametri attuali – con applicazioni sul corpo. Diverte pensare che era fatta con del formaggio e che colui che la rappresentava doveva sopportarne parecchio il peso e ..l’olezzo!

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foto tratta dl film “Viaggio nella luna”, di Georges Méliès, 1902

 

Lon Chaney (1883-1930) fu uno dei migliori attori caratteristi della storia del cinema. Per la sua eccezionale abilità con il trucco, gli venne dato il soprannome de “L’Uomo dalle Mille Facce” (“The Man of a Thousand Faces”) e acquisì un’eccezionale abilità nel trucco, al punto da sostenere, per carenza di personale, fino a cinque parti in una stessa commedia senza che il pubblico se ne accorgesse.

Film storici che sono succeduti a questi primi sono stati “Il gobbo di Notre Dame” del 1939 con Charles Laughton nella parte di Quasimodo, o anche “Frankenstein” del 1931 con Boris Karloff che faceva la parte della “creatura” con un make-up realizzato dal make-up artist Jack Pierce. Si trattava ancora di lavori molto pesanti, sia nella fase realizzativa – spesso lunga o lunghissima –  sia per il povero attore che soffriva realmente sotto chili di mastice.

La svolta avvenne con Dick Smith considerato il “padre del make-up prostetico“. Prima di lui le protesi erano realizzate solitamente in un unico pezzo. La sua innovazione consistette nel creare protesi in schiuma di lattice composte da più parti sovrapposte fra loro. Sono suoi gli effetti speciali de “Il padrino, L’esorcista, Taxi Driver, La morte ti fa bella” e così via. Un genio del genere! Poi arriva StarWars negli anni ‘70 ed E.T. del 1982 con l’alieno più famoso del cinema creato da Carlo Rambaldi. « Fu difficile trovare la giusta rappresentazione di E.T., perché volevo qualcosa di speciale. Non volevo che sembrasse un alieno qualsiasi. Doveva essere qualcosa di anatomicamente diverso, in modo che il pubblico non pensasse che quello fosse un nano in una tuta. ». Jurassic Park nel 1993, coi suoi giganteschi dinosauri, sancisce la svolta definitiva.

L'Incubo, olio su tela - 1781 di Johann Heinrich Füssli - fonte Wikimedia

L’Incubo, olio su tela – 1781 di Johann Heinrich Füssli – fonte Wikimedia

La bellezza, infine

La bellezza è un mondo particolare, da sentire e da cogliere, legato alla propria esperienza sensoriale.
Non viaggia solo attraverso esseri paradisiaci. Così, come insegna Guillermo del Toro, un mostro non è brutto, ma è un “emarginato dal Paradiso”.
I mostri hanno una propria umanità che ci rimanda ai nostri segreti. E c’è bellezza nel lavoro capace di creare, che si tratti o meno di mostri.
C’è bellezza anche nella rappresentazione dei difetti o delle malformazioni di coloro che  convivono accanto a noi, in quanto parte di tanta umanità.
C’è bellezza nell’ ‘altro’.
Serve solo un occhio attento ed “educato”. Che presti attenzione.

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Grazie ad Andrea ed Alberto che si sono prodigati ad introdurmi dentro al mondo del make up per effetti speciali.

Qui di seguito trovate materiali utili per approfondire e/o divertirvi:
Bibliografia:

BCM Editrice – Manuale di effetti speciali di trucco

Linkografia:
COSTUME E SOCIETA’

La storia della bruttezza ne dimostra l’inesistenza

https://it.wikipedia.org/wiki/Cosplay : per il fenomeno dei cosplayer
http://www.luccacomicsandgames.com/it/2016/home/ :  Lucca Comix & Games
http://www.effectusevent.com/ :  Effect Us
CINEMA
http://www.cinemecum.it/newsite/index.php?option=com_content&view=article&id=40&Itemid=373
su Guillermo del Toro:
https://www.youtube.com/watch?v=L74coPk1iO8&feature=youtu.be ;
http://unframed.lacma.org/2016/08/10/monsters-and-monstrosity ;
http://hathos-makeup.blogspot.it/2013/02/il-labirinto-del-fauno.html ;

video: http://nerdist.com/game-of-thrones-turned-scott-ian-into-a-white-walker-on-bloodworks/;

MAKE UP ARTIST: STORIA
https://it.wikipedia.org/wiki/Dick_Smith
http://timelessbeauty.it/jack-pierce-make-artist-degli-effetti-speciali/ ;
http://www.ilpost.it/2013/10/23/breve-storia-del-sangue-finto/ ;