Bella a chi? Scienza e arte a quattr’occhi

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Due mani in atto di esprimere sensazioni tattili – cera realizzata dalla ceroplasta Anna Morandi Manzolini – Museo Palazzo Poggi – Bologna

Di tutte le arti quella di saper vedere è la più difficile” scrive E. De Goncourt e se io su queste pagine ho spesso esaltato soprattutto la mano che sa creare, in realtà faccio ammenda per aver omesso gli occhi, quegli organi di senso che risultano non meno importanti della mano per creare un’opera, che sia d’arte o di produzione tout court.

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Foto di volto al Museo L. Cattaneo di Bologna

Mi è venuta in soccorso la lettura di un articolo ricordandomi che: “la visione è la forma di conoscenza principale della nostra cultura: tutta la storia, non solo dell’arte, ma delle scienze, della biologia, della zoologia, della botanica, potrebbe essere riscritta attraverso la storia della visione.(…) Pensare e vedere non sono azioni scindibili: noi vediamo ciò che pensiamo e pensiamo ciò che vediamo” (Doppiozero: “Il fondamento dell’istruzione artistica è insegnare a vedere” di G. Di Napoli)

Niente di più azzeccato per me per parlare di una visita tra scienza e arte, in due musei bolognesi, lo scorso autunno.

Il Museo delle cere anatomiche e Palazzo Poggi: due wunderkammer fantastiche.

Questi musei espongono dei corpi, così come li si vedeva nell’antichità, con le loro malattie e la loro anatomia dettagliata. Corpi fisici di esseri umani, rappresentati nei loro aspetti anatomici più reali, anche se “crudi”. La scienza del 500 ha beneficiato di questa iconografia realista in quanto finalmente la conoscenza diretta attraverso l’osservazione empirica poteva sostituirsi all’accettazione dogmatica dei precetti dei maestri. Oggi – in epoca in cui tutto è già noto e visto – curiosamente queste immagini destano facilmente più inquietudine. Sembra che il lato nascosto del reale contenga una sua “oscenità”, in particolare quando ad essere rappresentate sono le malattie ed il funzionamento fisiologico dei corpi. Non siamo abituati a considerare il senso estetico né l’armonia del reale degli apparati scheletrico-muscolari, o digestivi, delle tavole anatomiche. Siamo invece pronti ad accogliere ciò che in modo convenzionale e conformistico è riconosciuto come bello (ed anche efficiente).

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Modello anatomico dell’apparato visivo e parti ad esso connesse – Ceroplasta Clemente Susini – Museo L. Cattaneo – Bologna

Sono musei che rappresentano le nostre wunderkammer, le stanze delle meraviglie per alcuni o degli orrori per altri. Luoghi in cui sono raccolti gli unicum e i mirabilia, cioè oggetti inconsueti, capaci di muovere emozioni, ripartiti a loro volta in naturalia (quelli della natura) ed artificialia (quelli creati dall’uomo). Le wunderkammer sono un fenomeno tipico del ‘500, che si sviluppa nel ‘600 e si protrae fino al ‘700 con le curiosità scientifiche dell’illuminismo, e rappresentano al suo primo stadio il concetto di museo. E se nulla avevano a che vedere con i moderni musei, bastarono a dirottare il collezionismo verso un nuovo modo di riordinare ed esporre le collezioni scientifiche.

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Museo Luigi Cattaneo – Bologna

Il museo Luigi Cattaneo di Bologna, detto anche museo “delle cere anatomiche”, è una wunderkammer per le magnifiche cere che vi sono esposte, sintesi del matrimonio oggi inusuale tra arte e medicina. Vi sono esposte cere anatomiche normali e cere del corpo umano patologico, realizzate fra il 1700 e il 1800.

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Museo di Palazzo Poggi, “Stanza di Notomia” con le statue realizzate da Ercole Lelli – Bologna

Ma anche il Museo di Palazzo Poggi, non lascia meno incantati del primo: nella sezione dedicata all’anatomia ed all’ostetricia sono esposte cere magnifiche: quelle di Ercole Lelli (1702-1766) ) , e quelle di Anna Morandi (1714-1774) e del marito Giovanni Manzolini.

 

L’arte e la scienza

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De Bononiensi Scientiarum et Artium Instituti atque Academiae Commentarii, Bononiae, 1731- Biblioteca del Museo di Palazzo Poggi, in funzione dal 1724

A guardare – insieme ad una guida che spieghi questi manufatti – ci si può ritrovare proiettati in un mondo affascinante, la cui cultura incanta per quella magica combinazione di concretezza e superstizione che riesce a trasmettere. Affascina soffermarsi sul fatto che quell’approccio medico appariva più vicino all’ “artista” – per le sue caratteristiche di immaginazione e “creatività” – di quanto non si possa oggi pensare. Quotidianamente questi professionisti erano costretti a dover immaginare l’invisibile causa delle malattie che dovevano curare nei loro pazienti, avendo come unica risorsa la loro capacità di collegamento dei sintomi al contesto di vita ed alla cultura, cioè il semplice intuito. Rispetto all’artista a questi medici mancava solo la consapevolezza di essere tali. Oggi non è più così: ragioni di “opportunità legale” spingono i medici a ragionare soprattutto in modo strettamente scientifico, in base a prassi e protocolli ufficiali, per non doversi poi ritrovare vittime di probabili denunce per errori o negligenze o azioni presunte tali.

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Ercole Lelli, Statue di spellati, scheletro naturale e cera, metà XVIII secolo circa – Museo di Palazzo Poggi , Sala dei Paesaggi – Bologna

La rappresentazione materica della ceroplastica

La libertà di apprezzare la bellezza del corpo umano attraverso l’anatomia inizia col Rinascimento e giunge attraverso l’Illuminismo fin a parte dell’800.

L’anatomia era una disciplina dai confini incerti, in bilico tra medicina, filosofia, cosmografia, estetica e arte. Ma la dissezione anatomica del corpo umano favorirà lo nascita e lo sviluppo della medicina occidentale . Entrambi, medici e artisti, attingeranno alla stessa fonte: l’anatomia. Gli uni per conoscere e svelare i meccanismi del funzionamento del corpo umano, gli altri per dargli vita ed espressione. Le cere anatomiche – che nel 400 nascevano come cere votive, “carne per credenti” – diverranno il mezzo tridimensionale più utilizzato per gli studi del corpo umano in quanto in grado di sopperire alla piattezza delle rappresentazioni del disegno anatomico. Saranno sia “carne per gli artisti” che “carne per gli scienziati”.  Ma non solo: le cere anatomiche venivano anche utilizzate come strumento didattico per insegnare e diffondere l’anatomia a coloro che non erano medici. Chirurghi e levatrici, persone cioè prive di quegli studi classici utili per avvicinarsi ai dotti trattati scientifici, nella pratica avevano bisogno delle conoscenze anatomiche per poter svolgere con successo i loro compiti (come un parto). Perciò le rappresentazioni anatomiche consentivano loro di poter mettere in pratica nella loro attività quanto potevano vedere in “3D”, in un felice connubio ante-litteram tra esperienza, arte e scienza.

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Statua in cera di giovane donna giacente, detta “Venerina” – riproduzione della cera che Clemente Susini (1754-1814) eseguì negli anni 1780-1782 a Firenze – Museo di Palazzo Poggi , stanza dei putti vendemmiatori – Bologna

Oggi le opere di ceroplastica anatomica che vengono esposte nei musei sono giunte integre fino ai nostri tempi soprattutto per  l’interesse scientifico, più che artistico, che suscitavano. Tant’è che non è un caso che siano custodite negli ospedali o presso le facoltà di medicina.

La rappresentazione performativa dell’anatomia: il teatro e il testo illustrato

La dissezione dei cadaveri dal 500 divenne una vera e propria «febbre» dell’anatomia e nel secolo successivo in tutte le università d’Europa l’autopsia rappresentò una pratica diffusa. Negli anfiteatri anatomici le dissezioni venivano praticate come uno spettacolo aperto al pubblico: difatti per assistervi si doveva pagare anche un biglietto. In questo teatro l’anatomista esibiva il corpo umano per mostrarne l’armonia divina.  Ma teatro era anche il libro nel quale le figure vengono esibite nelle diverse pagine: è a Bologna,

primo libro anatomia

Jacopo Berengario da Carpi Commentaria super Anatomia Mundini Bononiae, per Hieronymum e Benedictis, 1521

che nel 1521 esce il primo testo illustrato di anatomia (si tratta del commento all’opera di Mondino di Iacopo Berengario da Carpi). Nel 1543, sarà il fiammingo Andrea Vesalio, che nel “De Umani Corporis Fabrica” – compendio in cui convergono tecnologia, scienza, cultura e arte – rappresenta il corpo come una “Fabrica”, cioè un “laboratorio artigianale” dove si svolgono tutti i processi fisiologici. Il medico ne è l’ osservatore raziocinante. Lo scheletro in quanto fabbrica, struttura, domina la scena e il libro diventa lo specchio di un’esperienza. Le tavole di Vesalio diventeranno un riferimento obbligatorio per le generazioni successive tra cui gli stessi pittori della cerchia di Tiziano che lo adotteranno come testo. Ma dopo Vesalio il corpo umano diventerà “terra di conquista” in base alle nuove scoperte: così Eustachio mappa l’orecchio, Falloppio gli organi di riproduzione femminile, e così via. Emblematico di questo rapporto tra arte e scienza è il quadro ad olio “Lezione di anatomia del Dottor TulpLezione di anatomia del Dottor Tulp, opera di Rembrandt del 1617. Impressionano i medici che assistono alla dissezione con i loro vestiti eleganti, le gote rosate, la barba curata mentre il cadavere sezionato giace bianco e inerme coi medici che si guardano intorno nella più totale indifferenza.

De Humani Corpori Fabrica

De humani corporis fabrica libri septem, p. 184: tavola V dei muscoli

Le botteghe degli artisti di ieri: i ceroplasti

Nelle botteghe degli artisti del 400 il disegno del corpo divenne un percorso obbligato poiché il ruolo dell’artista era quello di fornire immagini nitide e precise che documentassero con serietà e precisioni le parti del corpo. Ai ceroplasti spettava il compito di supportare gli scienziati.

L’arte della ceroplastica si tramandava di padre in figlio; alcuni modellatori raggiunsero la celebrità e furono chiamati a riprodurre l’effige di sovrani e pontefici, morti e vivi. Ogni ceroplasta aveva tecniche proprie che, come tutti gli artigiani-artisti, preferiva non divulgare ed era seguito in tutti i passaggi della suo lavoro da un anatomico-dissettore, che preparava i pezzi da riprodurre prelevati dal cadavere. La parte più difficile e delicata del lavoro era la costruzione del modello definitivo, che richiedeva una precisione estrema e la conoscenza delle diverse sostanze da mescolare alla cera per ottenere la consistenza e il colore voluti. Questa operazione richiedeva un’abilità ed un’esperienza non comuni.

Giovanni Manzolini, la moglie Anna Morandi, Ercole Lelli e Clemente Susini sono alcuni dei nomi dei ceroplasti più famosi delle cui opere si può godere nei due musei bolognesi. Ma della ceroplasta Anna colpisce soprattutto lo studio della trasmissione degli impulsi sensoriali dal cervello agli organi di senso che si sintetizza nella sue splendide cere che rappresentano le mani (nelle foto qui all’inizio e in evidenza). Hanno una plasticità ed una sensuale armonia che è impossibile dimenticare. Ercole Lelli è invece l’autore della prima cera osteo anatomica e degli 6 scorticati della sala di Palazzo Poggi che mettono in evidenza le fasce muscolari. Le cere bolognesi del Lelli, riguardanti l’Osteologia e la Miologia, e quelle dei coniugi Manzolini, comprendenti anche gli organi di senso, di visceri e di ostetricia, sono i più antichi preparati anatomici in cera conosciuti.

Queste opere sprigionano una tale espressività visiva da superare, per forza emotiva, sia la piattezza della pagina disegnata che la monocromia delle sculture tradizionali. Sembrano più vere di una reale dissezione anatomica perchè brillanti e pulite.

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Cere di neonati con varie malformazioni – Museo di Palazzo Poggi – Sala di Camilla – Bologna

Oltre alla rappresentazione di malattie ormai dimenticate i modelli in cera  presentano, con estremo verismo, tutta quella serie di piccoli mostri, neonati deformi, che grazie all’ecografia e all’amniocentesi non vediamo più da decenni. Difficile poterli chiamare bambini: in effetti i medici dell’epoca, facendo ricorso alla mitologia, etichettavano i neonati con un occhio solo, ciclopi, quelli con due facce sulla stessa testa, giani bifronte ,  quelli i cui femori risultavano uniti in un unico, inutile arto, sirenidi.

La bellezza e il dettaglio della finitura, l’arte nel riprodurre i particolari (come i capelli fini e radi) però esprimevano il valore artistico di questi modelli, incapaci di lasciare indifferenti. La ceroplastica è un’arte fortemente emozionale, capace di suscitare nello spettatore i sentimenti più diversi ma raramente l’ indifferenza. In alcuni casi infatti il ritratto di cera, per quest’esasperato realismo, viene utilizzato per rendere immortale il ricordo dei morti nei vivi. Una pratica che sa di macabro e che rimanda a momenti di magia e stregoneria – secondo lo studioso M. Praz – o, da un altro punto di vista,  un modo (sempre piuttosto macabro) per fermare la morte come chi imbalsamava i corpi dei propri cari, illudendosi di poter mantenere per sempre in vita le persone amate.

Gli artisti di oggi.

Questa fascinazione per l’arte della ceroplastica, a partire dal XX secolo diventa sinonimo di musei in vario modo, inaugurando per esempio il ben più celebre Museo delle cere di Madame Tussaud a Londra.  In tempi più recenti è significativo il successo della mostra Body Worlds, l’esposizione itinerante ideata dal medico tedesco e scienziato Gunther von Hagens sul “vero mondo del corpo umano”, in giro in diverse città d’Italia per far conoscere gli organi e gli apparati anatomici umani.

Non è roba del passato. Non proprio. Anzi è giusto l’aver notato numerosi artisti contemporanei che realizzano raffigurazioni “lugubri” o che rappresentano dissezioni, anatomie, scheletri, teschi e simili, che mi ha spinto a indagare il pensiero che li ispira.

Damien Hirst

Hymn, 1999, di D. Hirst, Oro, Argento e Bronzo – Immagine tratta da http://www.osservatoriesterni.it/arte-design/damien-hirst-opere-famose

Damien Hirst è uno dei primi artisti contemporanei che mi è venuto in mente : con le sue sculture giganti di corpi anatomici, dissezionati ( nella foto bronzo dipinto Hymn, 1999 – 2005) o i suoi animali imbalsamati e sezionati conservati in formaldeide.

Stefano Bessoni è un altro artista a cui è andato il mio pensiero.

Stefano Bessoni - Alice

Alice – Stefano Bessoni – foto di Stefano Bessoni

Ma questi sono solo alcuni per dirci che dopo l’indigestione quotidiana di tanto virtuale, in di stimoli alla fine questi corpi ci servono per ricongiungerci con la nostra materialità più vera.

 

L’arte è magia liberata dalla menzogna di essere verità” T.W. Adorno.

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Link utili (dei quali ringrazio Bruno Cozzi  Dr.Med.Vet., Ph.D., professor
Dept. of Comparative Biomedicine and Food Science, University of Padova):
Collezioni fondamentali italiane sono presso:
  • il Museo della Specola di Firenze, con le migliori e più famose cere anatomiche. Oltre alle cere anatomiche normali (le più famose) ci sono ache quelle patologiche e quelle botaniche
  • il Museo anatomico dell’Università di Pavia (dove Cattaneo insegnò a lungo e dove ci sono diverse statue miologiche, preparati fantastici. Preparati simili della fine del XIX secolo erano presenti anche a Milano ma non sono più visitabili)
  • il Museo di Anatomia umana dell’Università di Napoli, dove accanto ai preparati anatomici sono conservati gli strumenti divinatori ricavati da parti umane e risalenti al tardo barocco
  • il Museo di Anatomia umana “Giacomini” dell’Università di Torino, importante per la storia dell’anatomia moderna e i risvolti nella storia del pensiero
  • il Museo Lombroso dell’Università di Torino, sintesi del pensiero anatomico normale e patologico dell’epoca positivista

Alcuni di questi musei hanno un loro sito. Le raccolte di molti di loro sono state pubblicate in volumi affascinanti.

Grazie anche al dr. Mancini che mi ha accompagnato nella visita al Museo L. Cattaneo.

 

 

Artisti artigiani e startupper “separati in casa”.

Scene da fotoricordo?

Un tavolo da lavoro invaso da scatole, attrezzi e boccetti, utensili appesi ovunque tra segatura, polvere e qualche ragnatela : questi sono i dettagli di una foto che rimanda nostalgicamente ad un mondo in via d’estinzione o sono solo le tracce di un hobby? Nessuna preoccupazione estetica per gli spazi intorno – quella che più ossessiona gli esteti dei social – può scomporre Francesco: lui si presenta tale e quale è, da solo, con le sue cose, i suoi attrezzi ed i prodotti delle sue mani.

Pensionato di Casina, piccolo Comune dell’Appennino Reggiano, Francesco è un signore con occhi brillanti e curiosi: non va al bar per passare le giornate in cui non sa cosa fare; lui è un uomo sempre indaffarato, dentro al suo laboratorio-casa. Perché lui con le mani sa ‘fare’: sa lavorare il legno, sa costruire tavoli, madie e altre utensilerie, sa recuperare telai per la tessitura, rimettere a nuovo antichi orologi rottamati e tanto altro ancora. Insomma Francesco non sa proprio stare fermo. Da solo è riuscito a ripristinare un antico orologio a sei ore.

Francesco incarna bene l’immagine di un’età – quella della pensione – che non necessariamente deve essere inattiva, ma che anzi può regalare le grandi soddisfazioni del “saper fare” . Quello che lui produce con le mani, grazie alla lentezza del tempo a sua disposizione, gli permette lunghe pause di riflessione e di immaginazione. Ha cioè dalla sua quei tempi lenti che ai più giovani, per rispetto degli standard di produttività aziendale ed alla velocità tecnologica, sono oggi negati.

La manualità, che uomini come Francesco possiedono, non è solo un tratto distintivo delle persone speciali – quelle di un’altra generazione che si è dovuta saper sempre arrangiare – ma è anche una medicina naturale di benessere personale e di longevità. E i nipoti che stanno a guardare non possono che trarne a loro volta grande beneficio, anche solo imparando questo sapere a lungo ingiustamente bistrattato.

Il saper fare delle mani

La postazione di lavoro del restauratore AldoDa un’altra parte Aldo, restauratore cinquantenne, che ancora oggi, ogni giorno, da più di 30 anni, lavora con le mani, se anche non avesse interessi o hobby, detiene un patrimonio di tali capacità che lo mette in grado, in qualsiasi circostanza, di riuscire sempre a realizzare cose bellissime e di fare quello che vuole. Così, tra le sue occupazioni, nel tempo libero, c’è stata la produzione di quadri particolari,

ad imitazione inconsapevole del più famoso Mimmo Rotella, la costruzione di modellini piccolissimi e dettagliatissimi, e, non da ultima, la capacità di riuscire a riparare e manutenzionare qualsiasi cosa.

Modellino Aldo

Modellino Aldo

Eppure parlare di queste attività trascina sempre con sè una sorta di connotazione nostalgico-sentimentale, da vecchia generazione insofferente alle novità.

Succede fuori dall’Italia

Ma allora perché istituzioni come il Craft Council in Inghiterra stanno spendendosi tanto ed altrettanto stanno investendo per favorire il recupero della manualità tra le giovani generazioni?

make-a-job-asset-6Per quale ragione hanno avviato un progetto, “Inspiring the future”, attraverso il quale reclutando volontari, artigiani, professionisti, vogliono portare una testimonianza diretta del loro lavoro alle giovani generazioni affinchè capiscano che le attività manuali possono condurre ad una vita professionale gratificante? affinchè recepiscano i valori e la bellezza del fare a mano? Nel 2016 organizzeranno una serie di eventi con gruppi di makers per incontrare i ragazzi e fare networking (ad oggi sono registrati circa 9.000 insegnanti e 25.000 volontari).

Ciò facilita lo scambio intergenerazionale: gli uni portando la testimonianza delle stampanti 3D e delle nuove tecnologie, gli altri, dimostrando come le abilità si acquisiscano con il tempo e l’esperienza nel lavoro pratico.

Street job da sturtupper

In una società in cui il valore di scambio è diventato l’informazione, anzi, la comunicazione, il contenuto è diventato una componente più sfilacciata e ripartita a beneficio degli argomenti (ashtag) più popolari. Ma il reale contenuto, se ridotto a veloci pillole informative, può in questo modo sfuggire facilmente. Un esempio: si parla con palese entusiasmo dello street food che altro non è che la riproposizione dei vecchi mestieri ambulanti come il gelataio o il venditore di frittelle, o la merciaia, o il venditore di stoffe, o l’arrotino dei primi del ‘900.

La merciaia col tipico carrettino - foto del libro Di casa in casa. I vecchi mestieri ambulanti

La merciaia col tipico carrettino – foto del libro Di casa in casa. I vecchi mestieri ambulanti

Mestieri vecchissimi, come quelli del commerciante-artigiano nomade, che oggi sono accolti col grande entusiasmo delle novità folkloristiche e divertenti da fuori, ma che nella realtà nascondono una vita faticosissima, di sacrificio, di freddo-caldo stagionali che non concededono tregua, e di lavoro duro. Di cui nessuno parla.  Ma allora la stessa dignità l’hanno anche i vecchi mestieri manuali, anche se le giovani generazioni non sono motivate ad intraprenderli.

Succede in Italia

Mestieri duri, di cui, se se ne legge la storia, esisteva nel passato una scuola di pratica e di graduale apprendistato. Oggi non se ne parla. Solo alcune regioni – poche (Toscana, Marche e Lombardia, in primis) – promuovono l’artigianato artistico. La Toscana per esempio di recente, con l’osservatorio OMA e la Fondazione Cologni dei mestieri d’arte, grazie al sostegno di banche e fondazioni di origine bancaria, ha creato il sito “Su misura” che si affianca al sito “scuole dei mestieri d’arte” promosso dalla Fondazione Cologni.

Mi chiedo: oltre alla partecipazione di fondazioni bancarie, che possono finanziarie progetti di tale natura e dalla significativa portata culturale, esiste anche un disegno politico per cui certe regioni sono identificate come soggetti protagonisti di produzioni artistiche di tradizione ed altre invece, come l’Emilia Romagna, o la Sardegna o piuttosto la Liguria, il Friuli, ecc., relegate e promosse solo per altre tipologie di produzioni che qualcun altro ha stabilito essere trainanti nell’attualità dei mercati, come la meccatronica, per dirne una? Non è l’artigianato artistico un valore nazionale diffuso e tipico dell’Italia tutta, da tutelare, studiare, promuovere e difendere in tutta la nazione, anche a prescindere da quelli che sono i settori attualmente trainanti? A prescindere cioè dai numeri di fatturato? Sarebbe come dire che la storia e l’italiano oggi non si devono più studiare perché l’Information Technology funziona di più nell’eldorado delle startup e all’Italia quindi servirebbero soprattutto ingegneri. Eppure nei bacini di patrimonio culturale, creati anche solo a scopo di pura liberalità (così come è per la regione Toscana) risiedono i fermenti per fruttare nuove attività: per nuove scuole dedicate (Alma Scuola ne è un esempio di eccellenza per la cucina), per docenti, per il turismo, il commercio e tutte le persone che vi si potrebbero dedicare professionalmente, grazie ad una rete che parte dalle Istituzioni.

Oscar Wilde ribatterebbe che “non c’è niente di più importante del superfluo” .

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Venditore ambulante di costumi sulle spiagge della Sardegna

L’archivio del saper fare della moda

La Moda utile.

dalla mostra Il Gusto della Contaminazione - Modena 28 maggio-19 luglio 2015- Cappello Fiori e Frutta

dalla mostra Il Gusto della Contaminazione – Modena 28 maggio-19 luglio 2015- Cappello Fiori e Frutta

La moda è per le donne – ma non solo – un mondo ricco di fascino e insieme uno strumento per la propria bellezza e il proprio charme. Un mondo identificato spesso come “effimero”,  fatto dei sogni del protagonismo estetico di ognuno . Gli anni ‘80-2000 rappresenteranno l’ apoteosi del fashion system e insieme la celebrazione di “dandismo ” e “yuppismo” nei costumi. Forse quel periodo non sarà neppure più replicabile, tuttavia, il mondo della moda ha rappresentato – qui in Emilia, in particolare – una importante fonte di attività per molte donne, e uomini. Inoltre è il contenitore di gusto e cultura di un periodo, la storia di noi tutti attraverso i segni e i simboli di un’epoca. Ma oggi è anche un’altra storia…

La Moda alle origini…

Quando dal secondo dopoguerra le opportunità ed i bisogni da soddisfare si sono resi più urgenti, la gente dell’Emilia – Romagna, terra di contadini e botteghe artigiane, ha riposto ad essi tempestivamente con l’intraprendenza e la laboriosità che la caratterizzano.

addetta alle riparazioni presso Modateca Deanna

addetta alle riparazioni presso Modateca Deanna

Grazie alla moda anche le donne, impegnate tra famiglia e casa, hanno potuto dedicarsi ad una “produzione manifatturiera” senza dover sacrificare per questo gli impegni domestici e contribuendo così all’ economia familiare attraverso le proprie mani ed una macchina da cucire collocata nella cucina, tra i fornelli. Si fa risalire l’origine dell’organizzazione del lavoro di queste singole sartine, camiciaie e magliaie all’ arte del truciolo, che diffonde in Emilia la cultura dei “gruppisti”, cioè di coloro che tenevano le fila dei diversi artigiani lavoranti al proprio domicilio. Da lì il passo è stato breve verso il consolidamento negli anni ’50-’60 della lavorazione meccanica della maglieria che porrà le basi del distretto tessile di Carpi e della Romagna. Qui avrà sede la produzione di eccellenza della maglia nella moda Made in Italy.

macchine lavorazione maglia - archivio Modateca Deanna

macchine lavorazione maglia – archivio Modateca Deanna

Sono già gli anni ’70, quelli in cui le produzioni diversificate e differenziate per uso, stile di vita, età e condizione economica prefigureranno nuove professionalità come quelle di modellista, stilista, responsabili di prodotto, per citarne solo alcune. Senza dimenticare il ruolo delle tante imprenditrici del settore.

Il libro “Donne nella moda” racconta le storie vere di alcune delle protagoniste del settore in provincia di Reggio Emilia: sono storie reali, seppur romanzate – come succede quando si riannodano i fili dei ricordi – ma sono storie che ci interpellano sul futuro. Anche perché alcune di queste rappresentano un momento definitivamente concluso (Maska, per esempio o Mariella Burani, importanti aziende locali entrambe fallite).

La Moda secondo Miss Deanna

Deanna Ferretti Veroni - archivio foto Modateca Deanna

Deanna Ferretti Veroni – archivio foto Modateca Deanna

La storia di Deanna Ferretti Veroni, titolare dell’azienda Miss Deanna, è diversa da tutte le altre. Anche lei ha iniziato negli anni ’60, finite le scuole commerciali, cominciando con intraprendenza, volontà e senz’altro anche quel po’di fortuna che serve non lasciarsi sfuggire. Così appare nel suo racconto. Ma quello che più colpisce, e che la differenzia da tutte le altre protagoniste, è – oltre alla sua sensibilità artistica – il fatto che lei sia riuscita a cogliere nella collaborazione con i “giovani d’oggi” (stilisti soprattutto) un’opportunità che potremmo chiamare “intergenerazionale”. Il professionista maturo lavorando in sinergia col giovane designer creativo riesce a sperimentare nuove alternative di produzione, innovando. Altre donne, forse perché in ruoli diversi, forse perché non sempre imprenditrici, nel libro sono più “autoreferenziali”.  Spesso si soffermano a rimarcare soprattutto la loro forte dedizione al mestiere ed a contrapporsi alle generazioni attuali, reputate così diverse nei loro ideali di autoaffermazione. Un cliché che non tiene conto della profonda differenza tra ieri e oggi.

Modateca prima e poi

24/11/2008 - San Martino in Rio - Italia - Nuovi spazi e nuova disposizione dei capi del Centro Internazionale Documentazione Moda MODATECA DEANNA. Autunno/Inverno 2008 - Photo Stefania IEMMI

24/11/2008 – San Martino in Rio – Italia – Nuovi spazi e nuova disposizione dei capi del Centro Internazionale Documentazione Moda MODATECA DEANNA. Autunno/Inverno 2008 – Photo Stefania IEMMI

Miss Deanna nasce come azienda produttrice di maglieria nel 1970 scommettendo sulla collaborazione con l’allora giovane stilista Kenzo. Nel 2002 viene ceduta al Gruppo Armani e nel 2014 viene trasferita definitivamente a Baggiovara di Modena.

Cosa rimane di quel passaggio che non è solo generazionale ma anche strutturale, visto che Miss Deanna non esiste più?

Rimane un archivio ricchissimo con più di 50.000 capi creati da stilisti famosi – da Kenzo a Giorgio Armani e Krizia, da Martin Margiela a Neil Barret e Lawrence Steele, inclusi capi reperiti da altri marchi come Mariella Burani che hanno fatto la storia della moda, ed i capi qui archiviati dagli stessi stilisti che vi depositano le loro collezioni storiche. Non ci sono solo abiti preziosi che danno testimonianza dell’ideazione dei creativi, ma anche un compendio delle lavorazioni tecniche e dei materiali utilizzati e dai quali risalire alle lavorazioni e produzioni del passato. Un archivio appunto del saper fare. Accanto a questi capi sono disponibili gli accessori, i filati, i telini prova, i campionari di tessuti. E ancora, le riviste d’epoca di moda, i libri, le foto, la documentazione delle immagini di sfilate e tutto quello che può testimoniare lo stile fashion di un periodo

Sonia Veroni - archivio Modateca Deanna

Sonia Veroni – archivio Modateca Deanna

Nel 2004 così, all’interno di alcuni spazi del maglificio Miss Deanna, prenderà sede Modateca Deanna. Il progetto è innovativo ed alla sua ideazione provvede Sonia Veroni, figlia della fondatrice Deanna, e richiamata dagli USA in Italia per consentire una nuova vita al patrimonio di prodotti rimasto all’azienda.

Oggi questo patrimonio viene messo a disposizione degli uffici stile, dei professionisti e delle scuole (come il Naba o l’Università del design di Milano) per essere consultati, studiati e ripensati attraverso servizi di didattica, ricerca on site e ricerca personalizzata. Ma non solo: Sonia collabora come curatrice alla realizzazione di varie mostre di cui l’ultima qui a Modena.

A Modateca funzionano un archivio campionario, con le linee di maglieria di Miss Deanna dal 1960 al 2004 e costituito dagli oltre 10.000 capi; un archivio vintage, di 40.000 capi attraverso i quali è possibile seguire il trend dello stile dai primi del ‘900 fino ai giorni nostri; un archivio tecnico, utile per studiare le varie tecniche di costruzione dei capi e il loro diverso confezionamento nel tempo in relazione alle tendenze; la biblioteca, con più di 3.000 volumi di soggetti ed epoche diverse e l’ emeroteca, con oltre 20.000 numeri tra le più famose testate a livello internazionale, dai primi del ‘900 ad oggi e reportage delle sfilate di Pret-à-Porter ed Alta Moda di  New York, Londra, Milano, Parigi.

Il materiale è una ricca fonte di ispirazione creativa e produttiva a disposizione del pubblico specializzato del settore.

Sonia è entrata nel 2013 ed ha impiegato due anni, fino al 2015, per organizzare Modateca così come lei la concepiva. Oggi l’esposizione cambia e viene integrata, in un continuo aggiornamento ogni 6 mesi.

Il futuro e le sue geografie creative

Mostra anni '80 Modena, maggio 2014

Mostra anni ’80 Modena, maggio 2014 – Archivio foto Modateca Deanna

Questo esperimento testimonia la geniale evoluzione di un’attività familiare che può ben essere presa a paradigma di come la tradizione può evolvere in modo creativo, pur a fronte della crisi del settore, trasformandosi addirittura in un ulteriore successo. E’ la dimostrazione ancora che dalla cultura del lavoro del passato si possono recuperare ed aggiornare gli spunti per produrre innovazione. Se la tendenza che manifestano oggi gli Stati Uniti, passati da un’economia manifatturiera ad una fondata sulla conoscenza e sull’innovazione, è paradigmatica per l’evoluzione futura dell’economia italiana, questo esempio incarna quell’idea in modo “italiano”.

Moretti ben sintetizza il fenomeno scrivendo che:

il fattore produttivo essenziale sono le persone: sono loro a sformare nuove idee (….) quindi non il capitale fisico , o qualche materia prima, ma la creatività, (….) e l’ecosistema produttivo in cui è inserita (la città e l’ambiente)” (da La nuova geografia del lavoro).

La mostra La mostra “Il Gusto della Contaminazione” a Modena, curata in collaborazione da Sonia Veroni e Pietro Cantore, e visitabile dal 28 maggio al 19 luglio 2015, è un esempio tangibile di tutto questo.

Trasversalità, creatività e nessun indugio a rompere confini fino a poco fa temuti – come quelli tra cibo, vestire e arte-  rappresentati in questa mostra, stimolano nuove possibilità.
Per nuovi lavori, nuove imprese e per ripensarsi.

Senza racconti di parole lascio alle foto il compito di fare da guida al racconto e da sintesi finale.
Buona visione e buoni pensieri creativi a tutti!

* un grazie speciale a Sonia Veroni, titolare di Modateca, che mi ha accolta ed accompagnata attraverso la storia di Modateca Deanna e nella lettura della mostra di Modena, Il Gusto della Contaminazione.

Grazie anche alla sua assistente personale, Jessica Carlini ed a Moira che mi hanno accolte e aiutata nella mia visita reale agli archivi e biblio-fotografica, con pazienza.