All’età di 5 anni sono stata sorpresa dai miei genitori – che a loro volta hanno sorpreso me con una sonora “ripassata” sul mio fondo schiena – mentre completavo sulle tre pareti libere di una stanza-ripostiglio di tre metri per due, il disegno di alcuni buffi personaggi in dimensioni reali (cioè all’epoca grandi quanto me). Lo shock per le sculacciate lo ricordo ancora perché da allora non ho più manifestato desideri di esprimermi “artisticamente” nel resto della casa. Le mie velleità illustrative da quel momento in poi sono precipitate drasticamente, mentre fiorivano in me spontanee domande sull’ingiustizia del mondo verso la “libera espressione dello spirito”.
Ma questa è un’altra storia, perché quella della Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna è un momento recente, anzi talmente vicino che non si è ancora chiuso, visto che questo fine settimana continuerà con il week end dei giovani lettori che comincia da oggi, venerdì 8 aprile, fino a domenica 10, con mostre, incontri e laboratori.
Le cifre dell’editoria per ragazzi.
Detta in altro modo, la Bologna Children’s Book Fair è una fiera che, dietro l’immagine fantastica che propone agli adulti – i genitori – ed ai bambini e ragazzi a cui si rivolge, rivela cifre da vera e propria industria della creatività. I dati rilasciati da AIE (associazione italiana editori ) fotografano un settore – quello dell’editoria per ragazzi e bambini – che nel 2015 è cresciuto del +7,9% con un fatturato che ha raggiunto i 182milioni di euro (nei canali trade, esclusa la GdO; dati Nielsen per AIE); sono invece 219,7milioni gli euro (+ 5,3% rispetto all’anno scorso) valutati secondo le stime dell’Ufficio studi AIE considerando tutti gli altri canali (toy center, uffici postali, fiere e saloni, GdO, ecc). Ad esso va aggiunto il fatturato derivante dalla vendita dei diritti di libri per bambini e ragazzi che è arrivata infatti a coprire oltre un terzo dell’export complessivo dell’editoria italiana (il 35,6% per la precisione): oggi ne esportiamo 2140, quando solo nel 2001 erano 486 (Ufficio studi AIE per ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane). Dal nostro piccolo osservatorio di genitori, zii, nonni o anche solo amici, ogni famiglia spende annualmente in libri per bambini di 0-14 anni circa 25 euro, ma arriva a spendere fino ad 85 euro per i bambini lettori, nella fascia dei 6-14 anni.
Il popolo dei creativi: gli illustratori.
Ma quello che mi è capitato di vedere, nel rapido tour in fiera per accompagnare una persona a me cara, è stato un mondo di ragazzi che si aggirava tra gli stand per presentarsi, incontrare persone, instaurare relazioni e magari raccogliere anche idee. Chi sono? Sono gli illustratori ed i narratori – o aspiranti tali – dei libri che compriamo per i bambini. Ad oggi i dati parlano di 273 autori italiani e di 252 illustratori che scrivono e lavorano abitualmente a libri per ragazzi (2016; Fonte: Annuario Andersen). Sono cifre che hanno come proprio contesto di riferimento una popolazione di 8.383.122 bambini tra gli 0-14 anni, e di 5.159.556 bambini lettori di 6-14 anni.
Le fiere si sa sono utili soprattutto per le relazioni, per riallacciare o conoscere persone del settore. Io, che al settore non appartengo se non in modo indiretto, in fiera ho potuto rincontrare una ragazza che sta completando il suo percorso di formazione come illustratrice. Parlare con lei mi ha permesso di rendermi conto di quanto la professione, nel back stage, sia davvero durissima. Corsi, scuola, master, chini sulle tavole anche 9-14 ore al giorno nell’attesa di poterle presentare all’art director della propria casa editrice (che è già una fortuna avere), sperando che nulla vada storto e che si possa arrivare ad una rapida intesa reciproca sull’esito finale della propria “produzione”. Attese, aspettative, sogni, notti insonni, paure, incertezze, ansie, tempo-libero-poco, traslochi ovunque, invasioni periodiche di materiale di lavoro nel proprio privato inseistente, e così via.
E parliamo di ragazzi e ragazze dai 20 anni in su, che investono i propri soldi ( certo sempre pochi se non sono alimentati anche da altre fonti ) per formarsi ad una professione che richiede idealmente grande creatività ma che necessita più prosaicamente di una grande disciplina personale, di capacità organizzativa e di una importante “scorza professionale” per la gestione dei suoi esiti (sia negativi che positivi).
Ma in soldoni qual è la percentuale di guadagno per un autore di album illustrati?
Stando alle indicazioni di Davide Calì riportate dal blog “Robadadisegnatori” il contratto standard prevede il 10% sul prezzo di copertina per l’autore, al lordo delle tasse. Se gli autori sono due – scrittore e illustratore – il compenso normalmente è diviso metà per ciascuno, quindi la percentuale diventa il 5%. Il guadagno dipende poi dal prezzo di copertina e dalle copie vendute e per valutare la cifra realizzabile si deve partire dalla tiratura, che cambia da paese a paese. In Italia le tirature per gli album dovrebbero essere sulle 1000 copie, mentre in Francia e Germania, intorno alle 4000-5000, in Spagna forse 2000, e così via. Su un prezzo medio di 15 euro, con 1000 copie vendute, il ricavo per l’autore è di 1500 euro lordi, da ripartirsi tra autore e illustratore se entrambi hanno collaborato al lavoro. Per i libri tradotti in altre lingue e su ogni genere di adattamento o riduzione, cartacea o multimediale come dvd, cinema, tv, ipad – il contratto standard prevede il 50% per l’editore e il 50% da dividere tra gli autori (25%+25%). Mentre la cessione di un libro per l’edizione estera, in relazione al paese che compra, al cambio delle monete, al numero di copie che si stamperanno e al loro prezzo di copertina, si aggira dai 600 a 3000 euro; quindi il singolo autore, che percepisce il 25%, ricaverà dai 150 ai 750 euro lordi. Le royalties invece sono liquidate una volta l’anno e vengono calcolate sui libri venduti nel corso dell’anno solare precedente. “Tra una cosa e l’altra passa un anno prima di sapere come sono andate le vendite e prima di ricevere le royalties. Nel frattempo bisogna fare dell’altro.”
In buona sostanza pare – a quanto riferisce Calì – che difficilmente si riesca a vivere di soli libri e tantomeno di albi illustrati, anche se le situazioni sono diverse da persona a persona e dai contesti, per non dire, dalla fortuna. Il fatto è che in genere diventa opportuno affiancare all’attività di illustratore altri lavori che possono aiutare a far quadrare i bilanci personali: si va dall’insegnamento alle collaborazioni con studi grafici, agenzie, e tutto quello che la propria fantasia e intraprendenza suggeriscono di fare.
Un amico, un po’ di tempo fa, mi segnalava la malinconica parabola di alcuni suoi conoscenti musicisti affidatisi alle scelte commerciali del loro nuovo produttore: l’ ingresso sul mercato risultò loro rovinoso perchè lo stile proposto dalla casa discografica non aveva riscosso l’adeguato successo. Risultato: una débacle che assieme alla perdita della loro originaria identità , ha comportato pure la perdita di tempo e denaro.
Fare libri non deve essere tanto diverso dal fare dischi. L’estro creativo non paga se non raggiunge un utile compromesso con quello produttivo e commerciale dell’editore, ma viceversa il bilanciamento con la natura commerciale delle proposte non deve mai dissociarsi da un sano senso di “preveggenza”. Come dire che essere un tantino visionari comunque conta.
”Gli Stones hanno inciso più di 300 canzoni, ma quelle “rimaste”al grande pubblico sono forse alcune decine.” E il guadagno del lavoro si riesce a fare solo con le grandi cifre di lettori, e non purtroppo con le nicchie di “amatori”.
L’industria della creatività.
D’altronde se la storia ci deve raccontare qualcosa di utile in merito basterebbe riferirsi al mecenatismo, cioè a quella “tendenza a favorire le arti e la letteratura attraverso il sostegno economico di cui quello più interessato – cioè l’investimento di denaro nell’arte – fu un tratto caratteristico dei principi del Rinascimento (per es. i Gonzaga e i Medici), e di numerosi papi e sovrani dell’Età moderna.” (Da Treccani ) . In quel caso il compromesso raggiunto dall’artista col proprio committente non ha mai impedito di trasmettere ai posteri le sue opere migliori che oggi riconosciamo come opere d’arte.
Noi che viviamo in uffici ingrigiti dalla routine potremo sognare di bei lavori creativi, e viaggiare assieme ai bambini lungo le tratte infinite dei loro disegni, delle immagini che ci regalano, ma ciò non potrà cancellare il fatto che si tratta di un mestiere durissimo.
Ho visto amici nel settore rabbuiarsi tetri dietro i propri problemi di instabilità economica e lavorativa, dentro la continua precarietà che li rimette periodicamente in discussione, anche in età più improbabili. L’altra parte della medaglia sarà pure di godere di un mestiere non noioso e uguale per tutta la vita, ma le condizioni che comporta costringono anche gli spiriti meno resistenti a ritemprarsi.
Mi è dispiaciuto molto immaginare le fatiche e la sofferenza che attraversano, anche perchè la maggior parte di loro ha una spiccata sensibilità, occhi attenti e osservatori, e si tratta perlopiù persone che avrebbero piuttosto bisogno di conforto che di rassicurare e blandire editor, agenti e altri.
Soluzioni?
Serve una maggior solidità per l’industria creativa italiana, più sostegno ed una maggior sicurezza nella sua capacità di generare valore per la nostra economia (e non solo).
Le cifre parlano chiaro (basta leggere il rapporto 2015 Io sono cultura di Symbola ) ma i decisori politici ed economici meno.
Però c’è di nuovo che oggi in media non si sculacciano più i figli che ci dipingono le pareti di casa né li si ostacola apertamente se vorranno fare i disegnatori.
O no?
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