L’artista va a scuola. Ma davvero ci va?

“Mamma perché ci sono così pochi licei artistici rispetto al classico o allo scientifico?”

E io cosa potrei rispondere? L’unica cosa adeguata la trovo in una scena a cui ho assistito durante l’orientamento scolastico alla scuola secondaria: l’alunna di turno, scelta per presentare il suo percorso,  candidamente, in una sorta di transfer psicologico, così ci informa : “ho scelto l’istituto tecnico commerciale perché mia madre non voleva che facessi l’artistico”.

Non è un caso perchè sembra che la preoccupazione principale delle famiglie che si ritrovano in casa un figlio con attitudini creative sia soprattutto di proteggerli da quel mestiere sconosciuto a cui potrebbero essere destinati per talento, perché l’arte non è considerata un “mestiere” né tantomeno quella dell’artista è una figura riconosciuta e riconoscibile.

Se è un problema di nomi, chiamiamolo diversamente, per esempio chiamiamolo “illustratore”. Non che vada meglio per questa figura, anzi, tutti quelli che hanno un interesse diretto con la persona in questione proveranno a dissuaderla dal tentare quel lavoro (come mi ha detto anche Arianna Papini)

Ma chi è l’illustratore e cosa occorre fare per diventarlo?

Le testimonianze che ho raccolto le ho combinate insieme su queste pagine, riducendo ognuna a poche righe, giusto per abbozzare gli attori, lo scenario e gli strumenti a disposizione di chi sente la “chiamata” ad un mestiere d’arte.

Quando si affronta quel momento delicatissimo che riguarda le proprie scelta di vita, come gli anni da spendere nella propria formazione o la svolta da fare nella propria vita professionale, non sempre si ha la lucidità sufficiente per distinguere bene tra le lusinghe e i respingimenti di questi ambienti così affascinanti, ma misconosciuti e duri.

Guardando con gli occhi di chi si e’ già formato

Tutti – o quasi – i ragazzi che ho incontrato hanno frequentato il liceo artistico.

Illustrazione di Noemi Vola per il libro “Un orso sullo stomaco” di Corraini editore

Noemi Vola, classe ’93,  è in procinto di completare il suo percorso accademico al 5° anno del corso di illustrazione a Bologna. Lavora mentre sta concludendo gli studi così come ha sempre fatto negli anni dell’ accademia, sia collaborando con Blancaun collettivo indipendente di ragazze illustratrici,   sia  con le attività collegate al festivaL Bil Bol Bul . Suoi attuali committenti sono case editrici come Corraini , Bianco e nero e Planeta Tangerina  : sono stati gli editori a contattarla scovandola tra i partecipanti non selezionati attraverso laBologna Children’s Book Fair . Partita con corsi estivi ad Ars in Fabula è approdata all’accademia di Macerata dove non è riuscita a trovare né le opportunità di una collaborazione in rete tra le due realtà formative né un percorso come quello di Bologna. E’ in quest’ultima scuola che ha continuato gli studi trovando finalmente lì la sua dimensione: un corso di laurea, triennale e magistrale, tutto dedicato all’illustrazione, dove prof. come Emilio Varrà, sono stati per lei determinanti.

illustrazione di Valentina Salvatico

ValentinaSalvatico, classe 1984, piemontese come Noemi, mi ha raccontato della sua esperienza all’accademia di Torino con un senso di  vissuto sofferto: i 4 anni nel corso di pittura, pur con tutta la passione profusa nell’arte contemporanea, le hanno lasciato una sensazione di forte estraniamento. All’accademia di Torino infatti ha patito quel senso di distacco dalla realtà che il mondo dell’arte contemporanea può incutere, tutto chiuso in se stesso, nonostante il fascino e gli stimoli che emana. Grazie al lavoro con Franca Aimone  e i suoi laboratori di danza e autoespressività, Valentina ha rionciliato le sue aspirazioni col suo talento ed il mondo reale. Oggi lavora instancabile a nuovi progetti, tra cui quello di rappresentare su veline poesie delicate”   disegnando giorno e notte per non perdere quello che è riuscita a conquistarsi con lo studio, la passione e ora con la sua nuova determinazione.

illustrazione di Laura Aldofredi

Laura Aldofredi, 28 anni, diplomata alla triennale di Belle Arti di Brera e quindi all’Accademia di Belle Arti Jan Matejko di Cracovia, in Polonia, con in tasca il master di Ars in Fabula, è illustratrice ed artista. Il racconto della sua esperienza testimonia la distanza che ha vissuto con l’insegnamento accademico e il bisogno di  una maggior preparazione alla manualità. A Cracovia, per contro, ha  trovato sia la considerazione umana e la formazione manuale che le hanno consentito di scoprire come mettere in pratica ciò che la contraddistingue: cioè la sua ricca vena narrativa. A Brera queste qualità le sono state in qualche modo penalizzate in quanto ritenute ridondanti per l’ambito pittorico.

Da Laura ho capito quanto sia determinante nella vita di un artista riuscire a soddisfare il bisogno di trovare il proprio sé perché, come lei stessa mi ha detto, è proprio dall’ autoconsapevolezza, dall’onestà con cui ci si riconosce artisti o meno, che si può fare l’illustratore ( l’artista). Se un illustratore è molto onesto, allora potrà essere persino più innovativo di quanto un artista riesca ad esserlo nell’ arte contemporanea.

Illustrazione di Lorenzo Ghetti per cartolina To Be Coninued

Lorenzo Ghetti, classe 1989, è fondatore ed autore di To Be Continued Comics  una webcomics che dimostra le potenzialità della narrazione a fumetti sul supporto digitale. In tasca ha un diploma di maturità scientifica e una laurea magistrale all’Accademia di Bologna in fumetto. Riporto direttamente il suo pensiero perché esprime meglio di quanto potrei fare io per rappresentare la sua “filosofia” di vita :

Riesco a mantenermi anche secon un tenore di vita basso (vivo ancora in coinquilinaggio). In fondo non mi serve molto per vivere: preferisco per adesso guadagnare poco ma avere il tempo di fare solo cose che mi piacciono.L’Accademia è stata fondamentale per me, forse non tanto come esperienza didattica ( i suoi insegnanti mi hanno comunque dato molto), quanto con tutto ciò che mi è capitato intorno.

L’Università non ci farà mai trovare la ‘pappa pronta’: siamo noi a doverci muovere. Ma lì ho incontrato molti ragazzi con la mia stessa voglia di fare, e insieme abbiamo iniziato cose al di fuori dell’Accademia.

Con alcuni di loro ho fondato un’etichetta indipendente, Delebile Edizioni, attiva ancora oggi ma di cui non faccio ormai più parte.

Ascoltando gli insegnanti dentro l’Accademia 

davanti all’accademia di Belle Arti di Bologna, sotto i portici – foto @maninmente

Quello che ho scoperto all’ Accademia di Bologna, l’unica in Italia con un corso di laurea in Illustrazione di 5 anni, me l’hanno raccontato i suoi docenti coordinatori: i professori Emilio Varràe Mario Rivellialias Otto Gabos.  Da loro ho saputo che, a differenza di quanto accade negli altri corsi, in Accademia, al dipartimento di illustrazione, c’è una struttura più giovane, orientata a leggere la contemporaneità. Inoltre, poichè il corso ha a che fare con le arti applicate, non solo si studia ma le materie trovano anche la loro applicazione pratica: a fianco dell’apparato teorico, finalizzato a creare consapevolezza nello studente, c’è un ambito completamente laboratoriale-artigianale.

All’Accademia di Bologna i professori Emilio Varrà (sn) e Mario Rivelli (ds) – foto @maninmente

Nel dipartimento di pittura c’è invece tutta quella libertà che serve per una disciplina che non deve avere limiti, e tuttavia questa dimensione, per molti studenti, può risultare  spaesante .

Il corso di illustrazione, per sua stessa natura, è legato al prodotto editoriale, quindi è orientato ad una creatività nel fare. Rispetto alle scuole private l’Accademia ha come obiettivo quello di costruire l’identità artistica e autoriale dello studente, cioè si fa carico di renderlo consapevole rispetto a chi è e a cos’ha da raccontare, dotandolo delle tecniche utili per poterlo fare. Viene fatto anche molto lavoro di artigianalità, insegnando gli strumenti da utilizzare, come lavorare in digitale, quali sono le caratteristiche della stampa, ecc.: manualità e autorialità insieme.

nei corridoi dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, davanti alle opere di alcuni studenti del corso di fumetto e illustrazione esposte in occasione di BilBolBul – – foto @maninmente

Venti anni fa chiedere ai genitori di potersi iscrivere all’accademia era molto più destabilizzante per le famiglie: oggi invece, a partire dal 2000,  il titolo di studio ha acquisito lo stesso valore legale di una laurea.  Per chi voleva seguire la strada dell’illustratore o del fumettista, all’epoca, mancava pure quella rete che oggi è invece possibile trovare già durante il percorso di studi: per esempio oggi succede che gruppi di studenti che si incontrano a scuola, uniti da interessi ed affinità, si ritrovano a condividere un progetto e creano delle autoproduzioni. Un mercato parallelo rispetto a quello classico, che non dà da vivere, ma che funziona, ed è identico al fare un libro tradizionale col quale le autoproduzioni si pongono sempre più in competezione in modo  concorrenziale. Gli stessi docenti sono un utile riferimento  “della rete” anche per aiutare i ragazzi a non cadere nelle trappole di contatti troppo prematuri con gli editori, col rischio di “bruciarsi” presto o di essere  facili prede di editori senza scrupoli.

libri negli scaffali della libreria di Mattia – foto @maninmente

Cosa guadagna sul mercato un illustratore?

Per un illustratore ci sono 2 possibilità: la prima, consigliata, è il diritto d’autore, meglio se basato su un anticipo non rimborsabile delle previsioni di vendita,  con eventuali royalties alla fine delle vendite, liquidate in  misura variabile nella percentuale del  6 – 8%, in relazione alla notorietà dell’autore ed alla tiratura della pubblicazione.

L’altra possibilità si chiama work made for hire , cioè lavoro in affitto su commissione: funziona con un pagamento a forfait, con diritti ceduti. Viene sconsigliato a meno che non interessi cedere il proprio diritto d’autore.

Si sta inoltre diffondendo la pratica del contratto con anticipo zero che rappresenta un territorio un po’ incerto dove il rischio è quello di non prendere nulla.

Se il lavoro viene realizzato in 2 – redattore ed illustratore – si divide il compenso accordandosi su percentuali variabili tra il 30-70 o il 50-50, in base agli accordi raggiunti.  Nel fumetto tra l’altro c’è chi lo scrive chi lo disegna e chi lo colora e  il compenso si ripartisce tra 3 persone.

Non esiste nessuna agevolazione garantita da albi – inesistenti per la professione – o sindacati. Essendo i numeri della categoria molto ridotti le contrattualistiche sono deboli , senza forza d’urto contrattuale.

Un illustratore può lavorare in diversi settori: dalla scuola, al cinema, al fumetto, ai ragazzi, nella grafica: è un po’ una giungla ma la cosa certa è che dal percorso scolastico non ci si può aspettare un posto sicuro. La scuola  dà gli strumenti ma non ti garantisce il posto soprattutto oggi in cui non esiste posto fisso, in un’epoca che è quella dell’invenzione e del reinventarsi ogni volta

A volte ci sono compromessi, mediazioni, e c’è anche chi tutto questo non riesce ad accettarlo:se si è giunti alla consapevolezza di essere artisti bisogna negoziare anche con la necessità, per mantenersi, di dover fare anche altri lavori riuscendo così a continuare nella propria ricerca.

Sarebbe necessario non cadere nella facile ipocrisia  che parte ancora dalla domanda: cosa fai come lavoro? E’ un passaggio frutto di una visione malata: forse Jannacci era più  cantante o più medico, Paolo Conte, più un cantautore o un avvocato? Henri Rousseau, era gabelliere nell’ufficio comunale del dazio di Parigi, e Vincent Van Gogh vendeva litografie, fotografie, dipinti, ecc. nella filiale dell’Aia della Goupil & Co, nota casa d’arte.

Certe distinzioni non contano. L’artista non è fare un lavoro che appena lo si inizia possa dare immediatamente uno stipendio. 

Con gli occhi un’artista e arte terapeuta

illustrazione di Arianna Papini per la copertina ” Droles d’animaux”

Arianna Papini, nota illustratrice, scrittrice, artista e arte terapeuta, quando mi ha raccontato il suo punto di vista mi ha letteralmente portato dentro alla sua poesia. Una poesia non priva di sano realismo che emerge quando mi dice che

“chi intraprende questa strada non può stare mai un giorno senza disegnare: è questa la scuola fondamentale per l’attività. L’insegnamento può al massimo riguardare il metodo. Alla fine quello che conta è la passione – che deve essere grandissima – conta crederci e conta l’ipersensibilità dell’individuo che è fondamentale. Ma nello stesso tempo conta essere molto forti. Essere resilienti. 

Alla fine l’arte ripaga sempre perché è uno spazio meraviglioso dove si può comunicare con tutti senza nemmeno conoscere l’idioma dell’ interlocutore”.

Ma non si deve mai dimenticare che fare l’illustratore è anche un mestiere e come tale ha un committente – l’editore assieme al suo team – e  quindi bisogna sapersi relazionare con lui, rispettando le regole di lavoro e le scadenze; “l’editore è come un compagno di viaggio in un progetto comune” e l’illustratore non è un artigiano ma un artista con proprie idee che per poter essere applicate hanno bisogno di percorrere una strada insieme  a molte altre persone, con cui  dovrà avere a che fare.

Punto di partenza dell’insegnamento è l’autobiografia. Di solito la maggior parte degli insegnanti si focalizza sui lavori di autori già noti che vengono poi clonati senza che tutto ciò  aiuti l’allievo a trovare la propria identità permettendogli una vera innovazione.  Si insegnano agli studenti questi autori e invece di accompagnarli a trovare se stessi li si indirizza verso la loro imitazione.

L’amore per la lettura è poi un requisito non secondario perché si sarà incaricati di fare copertine di libri e per riuscirci servirà  leggerli più di una volta, magari anche in lingua originale .

Come la vede  l’editore

Per Lina Vergara, fondatrice di Logos edizioni,  una delle più ricercate case editrici di libri illustrati

un bravo artista non ha bisogno di fare la scuola perché quello bravo è quello che si sveglia alla mattina e disegna. Da solo cerca le proprie mete, i propri obiettivi e da solo cerca i suoi riferimenti. Poi la società gli richiede una giustificazione che consiste nella scuola. Pur essendo quella dell’illustratore una professione, l’ artista vero non necessariamente entra nel mondo dell’accademia. Non ha bisogno che qualcuno gli insegni come diventare grande perchè ha già in sé tutta la volontà e l’aspirazione a volerlo diventare.”

L’illustratore, secondo Lina Vergara, è un artista, anzi non fa differenza tra pittore e illustratore.

Strutturare troppo i ragazzi attraverso la scuola a volte appare più una necessità del genitore che vuole educarli a un mestiere piuttosto che una vera necessità. Conta che i ragazzi siano educati a vivere, cioè a saper scegliere una direzione e a portarla avanti con grande impegno e determinazione.

fumetti di Jesse Jacobs nella libreria Mirabilia a Bologna – foto @maninmente

Per concludere

Quando mi sono iscritta al DAMS ho conosciuto moltissimi artisti o aspiranti tali. Persone più o meno strane, a volte anche normalissime, moltissime fragili, la maggior parte di loro quasi inafferrabili. Ne sono sempre stata affascinata: assieme a loro mi ha sempre affascinato l’arte e la figura dell’artista. Anche se quel periodo universitario risale ormai alla “notte dei tempi” ho un ricordo vivissimo di quell’ esperienza: bellissima, nonostante, assieme all’ euforia, si patisse la frustrazione di essere inattivi  proprio in un momento della vita in cui hai talmente tanta energia e voglia di fare che pare assurdo sprecarla così, seduti ad ascoltare i prof e ad aspettare un domani con laurea.

Illustrazione di Laura Aldofredi basata sul libro di Octavio Paz “The Labyrinth of Solitude”

Oggi conosco molti ragazzi, artisti e aspiranti tali. Ne vedo i sacrifici e la dedizione e percepisco chiara la loro sofferenza per l’instabilità che vivono, le loro paure quotidiane, alla  ricerca continua di uno spazio di riconoscimento che a volte parte ahimè proprio da se stessi e che per questo  motivo  sono più esposti alle frustrazioni ed al rischio di non riuscire ad intrecciare il proprio sè col contesto sociale.

“Calati dentro questa ‘economia della promessa”’nella quale combattono per riuscire a sopravvivere, macinando quella frustrazione e quel risentimento che sono all’origine di numerosi casi di una sofferenza esistenziale profonda”. (C. Morini -Doppio Zero)”

Non molto tempo fa ho rivisto  un amico carissimo,  artista e compagno al DAMS, oggi irriconoscibile: ha fallito, troppo fragile, e non è più un artista, ma un disperato.

La realtà è che noi siamo immersi in una società dove il lavoro pervade ogni anfratto della nostra vita. Al di là del puro mantenimento, il vero e unico lume che dovrebbe guidare ogni aspirante artista è quello della parabola dei talenti esortati a  non seppellire il proprio talento solo per paura, ma ad osare a fare frutti.

Solo così potrà liberare  la forza del desiderio, questo motore inarrestabile della vita e del suo rigenerarsi creativo  (come anche si legge nel libro  di Recalcati “contro il sacrificio”).

E’ a tutti questi ragazzi, gli uomini e le donne appassionati,  che dedico le pagine qui scritte. Auguro loro di non buttarsi mai via, di amarsi tanto più di quanto il mondo voglia loro bene. Le passioni che hanno alla fine sono la luce di chi continua a trascinarsi nel grigio di tutti i giorni. Tutti ne abbiamo profondamente bisogno.

Illustrazione di Valentina Salvatico

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CREDITS:

Vorrei ringraziare Valentina, Laura, Noemi e Lorenzo che si sono resi disponibili a mettersi a nudo e raccontarmi le loro storie: mi hanno aiutata a tenere un filo nella concretezza.
Ringrazio Arianna Papini che ho conosciuto come una persona speciale e che riconosco come un’artista straordinaria.

Grazie sicuramente anche ai prof Emilio Varrà e Mario Rivelli che  hanno messo a disposizione il loro tempo per raccontarmi la vita in accademia.

Grazie a Lina Vergara che mi ha accolta nella sua splendida libreria a Bologna: da frequentare!

Per ognuna delle persone qui citate rimando ai link che troverete nella pagina qui: scoprirete quanto c’è ancora e ancora e ancora da sapere!

Il make up artist per effetti speciali: un lavoro per facce belle o spaventose.

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foto presa in strada durante Lucca Comix & Games

Era il 1967 quando il saggista francese Guy Debord pubblicava il libro “La società dello spettacolo”, anticipando una tendenza che oggi ha raggiunto quasi il suo paradosso. Se nella società c’è in generale uno spostamento verso gli aspetti più immaginifici, nel cinema, anzi, in un suo preciso genere (il fantasy, il fantascientifico e l’horror), l’elemento fantastico, o della meraviglia, è diventato uno degli aspetti prevalenti rispetto ad altri linguaggi.

Taluni film di successo sono costruiti non tanto sullo sviluppo della vicenda e sul carattere dei personaggi, quanto proprio sugli effetti speciali. L’elemento fantastico – il genere che più ne contiene –  rappresenta un aspetto che tendenzialmente affascina di più lo spettatore  di quanto riesca invece la descrizione realistica degli eventi, perché lascia la narrazione aperta a varie interpretazioni. Non vi si parla di vita quotidiana nè dell’esperienza concreta di ciascuno, ma si rivolge a un futuro (o a un presente e a un passato) che ogni volta si modifica in base alle tecniche della rappresentazione.
Fuori dal cinema, tra la gente, c’è il vasto mondo dei travestimenti, un mondo che nel fenomeno dei cosplayer ha la sua manifestazione più evidente, e nei mascheramenti di Halloween, l’espressione recente più “spontanea”.

Tutti questi sono ambiti che, date le loro esigenze di trucco, travestimento ed effetti speciali, rappresentano i “luoghi” di lavoro del make up artist.

Andrea

Nel febbraio di quest’anno ho conosciuto Andrea: è lui che mi ha mostrato questo mestiere.

Corso in special Make Up (effetti teatrali) dell’Accademia Teatro alla Scala – foto: A.Neotti

 

Andrea Masi è un giovane ventottenne, make up artist, originario di Varese e diplomato di recente allAccademia Teatro alla Scala . Il suo percorso di studi è iniziato al liceo artistico ed è poi proseguito alla BCM (Beauty Center of Milan) e con un master in effetti speciali e body painting di Donatella Mondani. All’Accademia ha appreso le tecniche e le competenze per svolgere tutte le attività che riguardano la predisposizione del trucco – prima e dopo l’entrata in scena degli artisti – ma ha anche conosciuto personalità importanti del mondo dello spettacolo, in un ambiente stimolante, animato dagli allievi-colleghi e da insegnanti qualificati. Oggi Andrea si occupa sia di effetti speciali – come truccatore di scena di cinema, teatro o televisione – che di trucco tradizionale (per attori, spose, modelle, ecc.).

Come funziona il mestiere.

bozzetto preparatorio di Andrea per la protesi de “Il fantasma dell’opera”- foto A. Masi

Il mondo degli effetti speciali, secondo la definizione dell’enciclopedia Treccani, è il complesso di tecniche o trucchi utilizzati in ambito scenico per creare un’illusione di realtà. Un modello nuovo rispetto al cinema delle origini (rimasto immutato per decenni), che punta su una diversa dimensione del tempo e dello spazio. L’era digitale ha introdotto tecniche specifiche in base alle quali la caratterizzazione dei personaggi si può sviluppare sia attraverso la computer grafica che manualmente, appunto col make up per effetti speciali. Invecchiare un attore, piuttosto che renderlo somigliante ad un determinato personaggio, richiedono competenze complesse. E’ un mestiere insolito, così come fuori dal comune sono i contesti in cui lavora. Richiede manualità – moltissima – e approfondite conoscenze dei materiali – soprattutto per quanto riguarda il make up prostetico  – e delle cromie estetiche del viso su cui interviene.

"maquette" di Andrea cioè lo studio preparativo di dimensioni inferiori a quelle naturali che serve a capire come sarà l'aspetto e i volumi della creatura finita

“maquette” di Andrea :studio preparatorio dell’aspetto e dei volumi della creatura finita – foto di A. Masi

Il processo di produzione di un make up prostetico si sviluppa in diverse fasi: dall’idea di partenza si passa alla realizzazione del concept grafico. Ci si dota dei materiali utili, come il silicone, il lattice ed altri materiali sensibili al contatto e leggeri, per avvantaggiare chi dovrà indossare la protesi o maschera. Quindi si passa ai calchi del modellato ed infine al colaggio del silicone (o della schiuma di lattice o del lattice, in base al tipo di materiale e di resa desiderata) che, qualora necessario,  verrà eventualmente precolorato.  Una volta che il materiale si è asciugato, si precolora la protesi e – se coerente col concept – si posizionano i peli facciali. Dopodichè si passa all’applicazione della protesi sul modello: questa fase richiede da una fino a 7 ore di lavoro. Finita l’ applicazione e lo stuccaggio di eventuali difetti, si passa alla colorazione definitiva. Ed il miracolo della trasformazione prende definitivamente il via!

Gli interventi di make up di Andrea

dimostrazione di applicazione in lattice di Andrea

Chi è il make up artist ?

Per capire il mestiere prendiamo Andrea: lui ama la creatività e la manualità che servono per concretizzarla. Ha scelto di fare il make up artist perché questo lavoro richiede competenze di scultura non meno che  di ricerca scientifica e di osservazione. Inoltre il trucco ha caratteristiche che nessun’altra arte contiene: il trucco è plastico – ha un ‘effetto 3D’ – ma soprattutto il trucco vive di vita propria nei soggetti su cui è stato applicato. Ad Andrea piace che le sue idee si trasformino in qualcos’altro, che si autorigenerino su un modello vivo, creando a loro volta nuove idee. Gli piace questa trasformazione continua, che conduce ad esperienze diverse.

La computer grafica è tuttavia uno strumento ed una tecnica particolarmente efficace sul piano degli effetti finali e dalla quale in determinate esecuzioni non si può prescindere.   Ma l’effetto del lavoro con le mani sulla  materia viva è un’esperienza diversa, più vicina alla reale umanità, con le sue imprecisioni e gli  impercettibili difetti.

Per Andrea questo è il lavoro più bello del mondo. Oltre alla tecnica, il mestiere richiede anche un’importante capacità di relazione: quella che serve per creare un rapporto col modello-attore e a trovare contatti nel mondo dello spettacolo. Ma soprattutto, serve avere una storia e qualcosa da raccontare.
Di tutti gli ambienti di lavoro il teatro è quello che predilige perchè nella sua esperienza si è dimostrato come il più autentico. Lì l’atmosfera è magica. Tuttavia, per quanto si possa trattare di ambienti di lavoro sereni e divertenti, non si può dimenticare che servono sempre metodo e disciplina, i requisiti  fondamentali di ogni attività professionale.

dimostrazione di applicazione in lattice

dimostrazione di applicazione in lattice di Andrea

Per capire questo mestiere però bisogna  guardare all’oggetto della creazione in un modo aperto: sia che si tratti di mostro o di angelo – qualcosa che suscita o odio o amore nell’osservatore  e che comunque non lo lascia indifferente – il trucco o la maschera nascono dall’elaborazone di idee non meno che da un processo produttivo con competenze importanti. Dall’idea – un progetto personale – si arriva ad un prodotto scultoreo antropomorfo, che incorpora le leggi dell’anatomia e della tecnica dei materiali. Di quel personaggio si immagina il carattere, di cosa si nutre, a chi deve assomigliare; lo si fa vivere idealisticamente poi lo si crea, concretamente, pensando con quali materiali realizzarlo per il comfort e la verosimiglianza dell’attore.

Programmi televisivi come Face off non sono il modo migliore per capire il lavoro di make up artist : queste spettacolarizzazioni fini a sé, pur incuriosendo il pubblico dei profani,  semplificano la realtà di un mestiere molto complesso, dai tempi di realizzazione lunghissimi e che richiede esperienza e competenze sul campo.

sequenza nella quale, sono distinte le 4 fasi principali della realizzazione della protesi , ,modellato, realizzazione nel materiale deciso, precolorazione della protesi ed applicazione- Foto di A. Masi

sequenza nella quale sono distinte le 4 fasi principali della realizzazione della protesi: modellato, realizzazione nel materiale scelto, precolorazione della protesi ed applicazione – foto di A. Masi

La bellezza insolita nella storia del make up artist .

protesi siliconica di Giuseppe Verd

protesi siliconica di Giuseppe Verdi

Nel travestimento c’è tutta la storia delle maschere e quindi della Commedia dell’arte italiana. Ci sono in pratica radici tutte italiane, che tuttavia, ad oggi, si sono disperse nel tempo. In effetti l’unica importante agenzia nazionale di effetti speciali è Makinarium , di cui è recente il lavoro più famoso e pluripremiato, “Il racconto dei racconti”.

Gli effetti speciali non hanno una data di inizio precisa. Pioniere del genere fu Ray Harryhausen che con lo stop-motion, o tecnica a passo uno, creava figure fantastiche. Di lui si ricordano soprattutto I viaggi di Gulliver del 1960 o Il viaggio fantastico di Sinbad del ’74, anche se i suoi primi film risalgono agli anni ’40.

Prima di lui, Georges Méliès, considerato il padre del cinema ad effetti speciali, ricorreva soprattutto ad effetti di montaggio e di esposizione multipla della pellicola o alla sua colorazione a mano. La famosa luna con il razzo nell’occhio ispirata dal libro di Jules Verne “Dalla terra alla luna” potrebbe essere il primo effetto speciale di cui si ha memoria – secondo i parametri attuali – con applicazioni sul corpo. Diverte pensare che era fatta con del formaggio e che colui che la rappresentava doveva sopportarne parecchio il peso e ..l’olezzo!

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foto tratta dl film “Viaggio nella luna”, di Georges Méliès, 1902

 

Lon Chaney (1883-1930) fu uno dei migliori attori caratteristi della storia del cinema. Per la sua eccezionale abilità con il trucco, gli venne dato il soprannome de “L’Uomo dalle Mille Facce” (“The Man of a Thousand Faces”) e acquisì un’eccezionale abilità nel trucco, al punto da sostenere, per carenza di personale, fino a cinque parti in una stessa commedia senza che il pubblico se ne accorgesse.

Film storici che sono succeduti a questi primi sono stati “Il gobbo di Notre Dame” del 1939 con Charles Laughton nella parte di Quasimodo, o anche “Frankenstein” del 1931 con Boris Karloff che faceva la parte della “creatura” con un make-up realizzato dal make-up artist Jack Pierce. Si trattava ancora di lavori molto pesanti, sia nella fase realizzativa – spesso lunga o lunghissima –  sia per il povero attore che soffriva realmente sotto chili di mastice.

La svolta avvenne con Dick Smith considerato il “padre del make-up prostetico“. Prima di lui le protesi erano realizzate solitamente in un unico pezzo. La sua innovazione consistette nel creare protesi in schiuma di lattice composte da più parti sovrapposte fra loro. Sono suoi gli effetti speciali de “Il padrino, L’esorcista, Taxi Driver, La morte ti fa bella” e così via. Un genio del genere! Poi arriva StarWars negli anni ‘70 ed E.T. del 1982 con l’alieno più famoso del cinema creato da Carlo Rambaldi. « Fu difficile trovare la giusta rappresentazione di E.T., perché volevo qualcosa di speciale. Non volevo che sembrasse un alieno qualsiasi. Doveva essere qualcosa di anatomicamente diverso, in modo che il pubblico non pensasse che quello fosse un nano in una tuta. ». Jurassic Park nel 1993, coi suoi giganteschi dinosauri, sancisce la svolta definitiva.

L'Incubo, olio su tela - 1781 di Johann Heinrich Füssli - fonte Wikimedia

L’Incubo, olio su tela – 1781 di Johann Heinrich Füssli – fonte Wikimedia

La bellezza, infine

La bellezza è un mondo particolare, da sentire e da cogliere, legato alla propria esperienza sensoriale.
Non viaggia solo attraverso esseri paradisiaci. Così, come insegna Guillermo del Toro, un mostro non è brutto, ma è un “emarginato dal Paradiso”.
I mostri hanno una propria umanità che ci rimanda ai nostri segreti. E c’è bellezza nel lavoro capace di creare, che si tratti o meno di mostri.
C’è bellezza anche nella rappresentazione dei difetti o delle malformazioni di coloro che  convivono accanto a noi, in quanto parte di tanta umanità.
C’è bellezza nell’ ‘altro’.
Serve solo un occhio attento ed “educato”. Che presti attenzione.

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Grazie ad Andrea ed Alberto che si sono prodigati ad introdurmi dentro al mondo del make up per effetti speciali.

Qui di seguito trovate materiali utili per approfondire e/o divertirvi:
Bibliografia:

BCM Editrice – Manuale di effetti speciali di trucco

Linkografia:
COSTUME E SOCIETA’

La storia della bruttezza ne dimostra l’inesistenza

https://it.wikipedia.org/wiki/Cosplay : per il fenomeno dei cosplayer
http://www.luccacomicsandgames.com/it/2016/home/ :  Lucca Comix & Games
http://www.effectusevent.com/ :  Effect Us
CINEMA
http://www.cinemecum.it/newsite/index.php?option=com_content&view=article&id=40&Itemid=373
su Guillermo del Toro:
https://www.youtube.com/watch?v=L74coPk1iO8&feature=youtu.be ;
http://unframed.lacma.org/2016/08/10/monsters-and-monstrosity ;
http://hathos-makeup.blogspot.it/2013/02/il-labirinto-del-fauno.html ;

video: http://nerdist.com/game-of-thrones-turned-scott-ian-into-a-white-walker-on-bloodworks/;

MAKE UP ARTIST: STORIA
https://it.wikipedia.org/wiki/Dick_Smith
http://timelessbeauty.it/jack-pierce-make-artist-degli-effetti-speciali/ ;
http://www.ilpost.it/2013/10/23/breve-storia-del-sangue-finto/ ;

Mestieri d’arte e artigianato.

Mestieri d'arte - manifesto mostra a Reggio Emilia aprile 2015

Mestieri d’arte – Porzione del manifesto della mostra a Reggio Emilia, P.za Casotti- aprile 2015

“Mestieri d’arte”: questo è il titolo della mostra collettiva di botteghe artigiane e laboratori del centro storico di Reggio Emilia, ora riunite nell’omonima associazione . Il suo battesimo inaugurale risale al 16 aprile scorso.

In giro per botteghe.

A fine marzo, in occasione delle giornate europee dei mestieri d’arte, anche i laboratori e le botteghe artigiane di Milano e di Treviso, contemporaneamente a quelle di Ginevra, Parigi e di altre città europee, hanno tenuto aperti i loro spazi, assieme a musei, scuole ed altre istituzioni.

Ma cos’ispira tanto fermento, a volte sponsorizzato, altre volte semplicemente autoprodotto? L’obiettivo dichiarato è quello di far uscire gli artigiani dalla condizione di invisibilità in cui sono entrati da quando il prodotto industriale, accessibile a tutti ed a buon mercato, ha soppiantato il gusto per la qualità delle produzioni artigiane.

Cosa sono i mestieri d’arte?

Giuridicamente c’è una normativa che li identifica, ma a furor di popolo – come dimostrano i risultati di Astra Ricerche (ricerca quantitiva “gli italiani e i mestieri d’arte” del giugno 2012, commissionata dalla Fondazione Cologni) le figure maggiormente riconosciute come tali sono quelle che più ricorrono in televisione, cioè …..i cuochi …..

Ugo la Pietra, famoso artista designer, li classifica distinguendoli in base alle differenze culturali che li contraddistinguono: c’è l’artigianato artistico per conto terzi, che realizza le parti di un manufatto da assemblare. Ci sono gli artigiani che lavorano su progetto (S. Micelli li chiama gli “artigiani traduttori o modellisti”), cioè artigiani “colti ed abili” che realizzano pezzi su misura per architetti e/o designer (è tutta da scoprire la storia di Giovanni Sacchi,  segnalata da S. Micelli). Ci sono poi gli artigiani della tradizione, che portano avanti competenze sedimentate nel territorio (come i mosaicisti di Ravenna o i maestri ceramisti umbri). All’interno di questo stesso insieme rientrano gli artigiani che realizzano pezzi per il mercato di massa dei OLYMPUS DIGITAL CAMERA“souvenirs” (ceramiche, mosaici, ecc.) ed artigiani che recuperano la tradizione trasformandosi piuttosto in artisti con un proprio linguaggio di produzione (U. La Pietra cita tra i vari B. Gambone ). Di recente si sono aggiunti gli artigiani “metropolitani”, che realizzano oggetti con materiali di recupero (http://www.riciclarte.it/). Ancor più attuale è la popolarità acquisita dai cosiddetti “makers”, gli “artigiani digitali”. Questi ultimi sono giovani, generalmente di provenienza universitaria, ma privi di esperienza manuale e di dimestichezza pratica coi diversi materiali: producono oggetti di design “artistico/sintetico” affidandosi al supporto delle stampanti 3D. Resta un’ultima categoria – quella più innovativa – : si tratta dei designer/artigiani capaci di combinare tecnologia e tradizione per trovare un nuovo modello produttivo che li ricolleghi al mondo aziendale (Micelli li definisce artigiani creativi che autoproducono).

Il settore in generale è oggi alla ribalta in una veste mediatica che vede come protagonisti soprattutto i Fab-Lab – per la novità che rappresenta il movimento – e le start up nate come piattaforme web e marketplace per vendere e promuovere l’artigianato artistico. Oppure se ne parla attraverso immagini di botteghe improponibili nell’attualità, che sembrano più ritagli di un mondo perduto e nostalgico.

Chi sono gli artigiani artistici oggi?

 

Roberta fa la restauratrice di sculture lignee, Giorgio, l’orafo, Gian Domenico, il mosaicista, Anna, la decoratrice di tessuti, Rossano e Antonia, i calzolai che producono scarpe su misura e così via per tutti gli altri che costituiscono l’ associazione dei 18 artigiani che si sono presentati al pubblico a Reggio Emilia, il 16 aprile scorso. Hanno provato a raccontarsi alla città, mettendoci faccia, i loro prodotti e gli attrezzi che utilizzano. Questi sono i segni distintivi che li rappresentano Non sono mode. Sono persone che incarnano valori e competenze che vorrebbero far riconoscere.

L’artigiano, perfeziona le sue abilità attraverso la pratica ed un lavoro lento ed accurato: quali valori può riproporre in quest’economia dove resiste il paradigma della produzione di massa, la velocità e la produzione su scala globale a costi minimi? Che ruolo hanno i mestieri d’arte in un contesto lavorativo  “multitasking” e precario?

Questi artigiani hanno capito che serve far sapere la propria storia quotidiana per far capire a tutti cos’è quel mestiere. Hanno capito che serve raccontare della loro passione per il lavoro ben fatto, del lavoro fatto a regola d’arte . Serve dire della loro voglia di migliorarsi giorno per giorno e del loro attaccamento ad una comunità di pratica. Serve far sentire il loro senso di appartenenza a quelle che un tempo erano le ‘corporazione’, e che oggi sono piuttosto i valori del territorio, detto fino a ieri “distretto”. A disposizione oggi hanno il web ed i suoi strumenti.

Come fare per essere attuali? 

La ricchezza dei mestieri d’arte consiste non  solo nella capacità di produrre pezzi unici ma anche nella grande attenzione verso i bisogni dei clienti a cui viene offerto un servizio su misura. Sono questi i valori su cui impostare una nuova catena del valore per le produzioni  Made in Italy. Detto in altro modo: le aziende, gli studi di architettura e di design, per es., possono avere come prototipisti, modellisti, o produttori di pezzi importanti degli artigiani artistici tradizionali. Basta intercettarli e farsi raggiungere.

Mestieri d’arte, l’associazione di Reggio Emilia, ci ha provato con un primo passo: da vetrina dovrà diventare luogo di contatto e scambio per raggiungere – se lo vorrà – occasioni di lavoro su un mercato più vasto.

E di tutto ciò anche la collettività ne può beneficiare: perchè le persone si possono sentire più coese, meno insicure, con più ottimismo e voglia di parlarsi e confrontarsi. C’è spazio per tutti, anche per lavori a misura d’uomo, pensando ad un ecosistema che recuperi e metta a nuovo un’ economia per le persone, le loro capacità e i loro bisogni. Perché no?Mostra Mestieri d'arte - Piazza Casotti R.E. Aprile 2015