Collaborazione, manodopera, manovalanza: le tappe dell’evoluzione di una specie in via d’estinzione

Foto Archivio Museo Manodopera - Fiorano Modenese

Foto Archivio Museo Manodopera – Fiorano Modenese

Il distretto ceramico….
“Ma quanto bevono le vostre operaie!” esclama ingenuo Giuseppe Ballarini, oggi presidente di Bal-Co, azienda di prodotti per ceramica – alla vista di un mastello pieno di bottigliette vuote, “Macchè,- gli viene risposto – aggiungiamo Coca-Cola allo smalto perché così si stende meglio!”.
Con questa perla, inserita in uno dei volumi (Progetto Manodopera edito dal Comune di Fiorano Modenese) che compongono una parte della minuziosa opera di recupero delle testimonianze di chi ha lavorato nel distretto ceramico fin dagli anni 40, all’inizio del boom economico, si apre il sipario su un mondo rappresentativo non solo di una realtà industriale – quella della ceramica dei comuni tra Modena e Reggio – ma di un’evoluzione del lavoro oggi costretta al suo autoridimensionamento. Teatro di questa rappresentazione, di cui il lavoro del progetto scientifico “Manodopera” ne è lo spartito principale, è l’omonimo Museo multimediale di Fiorano Modenese. Si tratta di una sezione che completa il già esistente Museo della Ceramica e che documenta dal vivo della gente come è stata costruita l’eccellenza produttiva del distretto ceramico, oggi leader mondiale del settore.

Foto Archivio Museo Manodopera - Fiorano Modenese

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..e la sua gente ingegnosa, appassionata…e goliardica
Nello spaccato industriale di questo territorio si esprime un preciso DNA, fatto tanto di ingegnosità – a volte ingenua, ma proprio per questo creativa – quanto di generosità, dedizione e senso di appartenenza, sia fisico che culturale, al lavoro ed alla fabbrica. Un’eredità trasmessa di padre in figlio, a partire dalle lunghe attese dei genitori impegnati, cominciando già da piccoli ad imparare a gestirsi in autonomia. Ma a differenza di altre realtà industriali (come la Fiat per esempio), il settore ceramico prima nasce come realtà artigiana. Per questo rispecchia fedelmente e riproduce tutte le caratteristiche dei suoi protagonisti: gli imprenditori e gli operai.

Ci sono storie che raccontano come il proprietario fondatore della ceramica abbia spesso condiviso con i più fedeli le vicissitudini della sua attività (“il dr Pietro Marazzi alla domenica veniva a trovarmi quando facevo il turno,. mi prendeva a braccetto e mi chiedeva come andava”). E ce ne sono altre, esempio di umiliazioni pesanti, oggi inaccettabili (come gli orari di lavoro estenuanti, in ambienti insalubri e spesso relativamente sicuri).

Ma ci cono anche storie goliardiche, tipiche della giovialità degli emiliani: “in fabbrica non sapevo dove prendere. Avevo delle donne che facevano il decoro a mano, io gli insegnavo. Tra di loro ho avuto tre fidanzate, una alla volta però” (testimonianze tratte tutte dai volumi Manodopera). Insieme, ognuno con il proprio contributo, attraverso esperienze spesso classificabili agli inizi più come quelle del “praticone” che quelle del tecnico, sono state messe in atto innovazioni che hanno condotto la piastrella italiana alla reputazione di cui gode oggi in tutto il mondo.

Foto Archivio Museo Manodopera – Fiorano Modenese

…e il suo sano empirismo
”Mi sa dire lei dottore come mai queste due piastrelle non sono uguali?”, “Probabilmente per il diverso impasto utilizzato”, “Io ho solo usato il vetro di una bottiglia di Coca Cola e, visto che non avevo altro, anche quello di una bottiglia diversa, ma erano tutt’e due bianchi!”. La grande abilità dei “proto-industriali dell’epoca- generalmente agricoltori e commercianti che azzardavano per caso o per gioco l’avventura imprenditoriale – è stata proprio quella di essere estremamente empirici, al limite del folkloristico e di azzardare tutte le strade pur di soddisfare la necessità di produrre. Ma queste caratteristiche, assieme al beneficio reciproco che ne è derivato in termini di benessere ad entrambi gli attori del boom economico, hanno fatto la fortuna del settore, il motore della sua stessa innovazione. Oggi è più facile schernirsi di questa attitudine: si preferisce piuttosto il rigido ma scientifico approccio da nord europeo (leggi : tedeschi) disciplinato e organizzato. In un mercato come quello attuale, più complesso e difficile di quanto fosse al’inizio della storia della ceramica, l’ingegnosità e la collaborazione trasversale tra i diversi comparti della filiera si sono oggi svuotati di significato a beneficio di approcci più schematizzati e rigidi. Spesso ..non meno stressanti e alienanti.

Foto Archivio Museo Manodopera - Fiorano Modenese

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….e le sue menti creative
Ci sono aneddoti che si spiegano da soli e che raccontano col loro ritmo pezzi di vita industriale unici: “Alla ceramica Cisa di Maranello non sanno che materiali preparare: una piastrella di prova rimane sulla linea con varie applicazioni sopra. Per non buttarla via e non inquinare, qualcuno la mette nel forno e così viene fuori il famoso cotto Cerdisa, per il quale hanno cambiato il sistema di smaltatura.” . O ancora: “Alla ceramica Jolly smaltavano con un mestolo. Nel girare il mestolo cade una goccia sopra la piastrella. Questa goccia, quando è venuta fuori dal forno, bòm! , aveva creato un effetto che ripreso, ingrandito e… accidenti, ragazzi! è venuta fuori la piastrella con la goccia…”

Racconti di creatività che sembrano un po’ un ritratto di vita alla “Totò” d’Emilia, ma che in realtà, pur se considerati per le opportunità di quei tempi, esprimono tutto il valore della creatività locale. Il caso o il destino contavano significativamente, ma per far sì che un evento accidentale si trasformasse in un’innovazione serviva che ci fosse un qualche visionario disposto ad accogliere la novità come opportunità.

Foto Archivio Museo Manodopera - Fiorano Modenese

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Poi,dalla manovalanza si è passati all’industrializzazione: fine dell’umanità creativa?
“Allora si lavorava con i bracci, poi eravamo diventati un numero”: se all’inzio della sua attività il Premiato Stablimento Ceramico C. Rubbiani – pioniere nel settore – produce ai primi del 900 serie limitatissime, fatte tutte a mano, per soddisfare i gusti e le esigenze delle classi agiate, al crescere della domanda il prodotto viene destinato a mercati più ampi e la manualità diventa sempre più seriale ed asservita alla tecnologia. La stessa attività decorativa, sede deputata alla creazione, subisce negli anni una lenta razionalizzazione industriale. I primi creativi, all’inizio degli ani ’70, riconoscono nel reparto artistico della fabbrica il luogo paradisiaco in cui creare “perché si lavorava anche di fantasia”. “Non si poteva copiare e ci voleva qualcuno che inventasse. Abbiamo fatto delle cose meravigliose per i pavimenti del Vaticano decorati uno ad uno a mano, la sala del cardinale Lercaro a Bologna, una piscina per la principessa del Marocco, enorme e tutta decorata a mano di pesci ed alghe che sembrava di essere dentro al mare.”

Ora tutto può essere fatto al computer: con le tecniche CAD si possono esplorare nuovi ambiti del design e gestire soluzioni decorative e formati in modo più semplice e rapido. Tuttavia sono ancora i tecnici, la loro testa, le loro soluzioni creative, a volte azzardate, fatte anche col cuore, che permettono – o potrebbero permettere – di trovare il giusto equilibrio tra il materiale e la sua decorazione. Qui è il cuore del Made in Italy, lo stile italiano conosciuto da tutti che incorpora sensibilità estetica e cultura dei materiali. Il prodotto ben fatto non può prescinderne.

Oggi le idee necessarie probabilmente dovrebbero essere molte di più, visto che occorre produrre più in termini di qualità che di quantità. D’altronde è proprio nell’aver saputo gestire l’artigianato accompagnandolo verso la produzione industriale che si è fatta la fortuna di questa terra e la sua ricchezza. Ma le cose sono cambiate parecchio, i mercati sono complessi, le regole complicate (la burocrazia all’italiana) e spesso in guerra con le esigenze della competizione globale. Tutto è molto più difficile. E il prodotto ben fatto può essere confuso da altri valori come i contenuti della sua comunicazione più che il suo reale contenuto.

foto decoro

Foto Archivio Museo Manodopera – Fiorano Modenese

Ci serve un contenitore – come la scatola di latta che portava sempre con sé Maryl Streep nella “Casa degli spiriti” – con dentro tutte queste esperienze testimoniate dal vivo della gente.

Lì dentro si potrà attingere al nostro patrimonio di vita. Forse riusciremo a capire meglio chi siamo e ad inventare altre strade, restituendo il lavoro anche a chi non ha vissuto quelle fatiche fisiche ma che tuttavia subisce oggi il malessere e la sofferenza dell’incertezza, delle ansie di un lavoro che non si sa più se durerà, se si troverà, per sé o per i propri figli.

Foto Archivio Museo Manodopera - Fiorano Modenese

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Tutto quanto qui raccontato è documentato, descritto e approfondito al Museo Manodopera di Fiorano Modenese e nella collana editoriale Progetto Manodopera.
Di recente inaugurazione (aprile 2014), il Museo Manodopera rappresenta un lavoro di archeologia industriale portato al pubblico attraverso la testimonianza delle persone e realizzato attraverso un’operazione di scavo umano nel territorio.
‘Manodopera. L’uomo nobilita il lavoro’, è la sezione multimediale del Museo della Ceramica: 300 metri quadrati di allestimento innovativo, realizzato con soluzioni all’avanguardia da ETT spa di Genova. Qui il visitatore diventa ‘visitattore’, in uno spazio suggestivo come quello dei restaurati sotterranei del Castello di Spezzano.
Manodopera è un percorso esperienziale, curato da Paola Gemelli, Francesco Genitori e Guglielmo Leoni, con il coordinamento della direttrice del museo Stefania Spaggiari, che permette di ascoltare le voci di chi ha popolato le fabbriche. E’ un viaggio nel tempo tra i macchinari e i loro addetti con una guida virtuale.
Gli spazi, sede della sezione Manodopera, sono quattro, (per una superficie totale di circa 315 mq): il primo racconta il percorso dell’argilla dalle cave di escavazione fino ai depositi degli stabilimenti ceramici; il secondo racconta il lavoro; il terzo la manodopera, il quarto è una panoramica su quanto ha messo le “ali ai piedi” delle piastrelle di ceramica: grafica, design, moda, pubblicità, giornali, riviste, sponsorizzazioni sportive amatoriali e professionali, attività sociali.

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