
Dettaglio di una parete del salone (ex-granaio) del Museo Guatelli
Ma quale sarà mai la ragione per cui nessuno riesce a sottrarsi all’incanto dell’esposizione di tutti gli oggetti raccolti in quel Museo di Ozzano Taro che ha preso il nome dal suo stesso creatore, il maestro Ettore Guatelli?
Di sicuro non sarà il nostalgico rimpianto per una civiltà che si è gradatamente svuotata del suo significato originario e che è rappresentata nelle raccolte di Guatelli. Mi riferisco a quella civiltà dei contadini e degli artigiani di cui è utile tuttavia ricordare sempre – fuori dal mito – le tante storie di stenti e privazioni.

Veduta laterale nel salone ex-granaio del Museo Guatelli con gli attrezzi appesi ed esposti
Senza nemmeno conoscerne bene le ragioni – se non quella più immediata che si chiama ‘sussistenza’ – Ettore Guatelli ha iniziato a raccogliere gli oggetti che hanno rappresentato quella civiltà nel quotidiano, a partire dagli anni ’50, portando avanti questa attività fino ai suoi ultimi anni di vita, cioè fino alla sua scomparsa avvenuta nel settembre del 2000.
Sono più di 60.000 i pezzi – tra attrezzi, utensili, giocattoli, bottiglie, vasi, scatole, orologi e mobili provenienti dalle case contadine e dai laboratori degli artigiani che in quegli anni venivano rimodernati – che Ettore ha raccattato e accumulato in quel periodo di tempo.
“Usava gli oggetti per far parlare e raccontare ai suoi scolari, spesso bloccati nelle loro capacità espressive dalla scarsa conoscenza dell’italiano e dal senso di inferiorità tipica dei contadini di allora”.

Soffitto nel salone ex-granaio del Museo Guatelli
Molte persone detestano il sentimento di nostalgia del passato, coi suoi mestieri e le sue abitudini, perché la vita scorre, il mondo cambia, e in realtà, l’ idillio con cui si rievoca un periodo non è che una falsa idea utile solo a rendere più indigesto il presente.
Molti altri poi vorrebbero che il racconto di queste storie fosse diffuso ai più giovani i quali, non avendo potuto conoscere nulla del passato di nonni operosi e parsimoniosi, avrebbero così l’occasione di capire meglio il senso della loro identità.
Ma tutti – anche i più reticenti – rimangono sopraffatti da questa mostra che è quella di una moderna wunderkammer.

Una parete del salone del Museo Guatelli con le asce e accette disposte in modo ornamentale
Ettore usa diverse parole per definire la sua attività: se inizialmente raccoglieva oggetti per collaborare all’economia familiare, poi, col passare del tempo ha trasferito su quegli stessi oggetti il senso di ciò che stava facendo. Come maestro, poteva utilizzarli per spiegare meglio ai suoi allievi il significato e il funzionamento di molte cose, raccontando di questa gente ingegnosa che si arrangiava con poco.
Di fatto, raccogliere oggetti “troppo ovvi per essere ritenuti importanti” è ciò che ha consentito oggi a Guatelli di diventare un “atlante” delle geografie funzionali del passato.
Dentro alle stanze del suo museo è possibile ricostruire come vivevano e si arrangiavano le persone – famiglie, contadini e artigiani – e con quali oggetti compivano le funzioni di vita e di lavoro quotidiani.

Particolare di una parete della camera delle latte nella casa Museo Guatelli
Quegli oggetti, che rappresentano le tracce della vita materiale di un passato temporalmente recente ma culturalmente lontano anni luce, sono collocati negli spazi del Museo e della casa di Guatelli secondo un ordine che può essere tutto fuorchè didascalico. Sono sistemati seguendo geometrie artistiche, quasi surreali, come si fa con le tassonomie degli insetti, o in quelle che furono le wunderkammer di ottocentesca memoria.
Ecco: il Museo Guatelli piace a tutti, anche a chi non ama il ritorno al passato. Questo perché le sue raccolte utilizzano un linguaggio che supera il didascalico. Il suo è un linguaggio artistico che ha preso a prestito dal passato solo gli oggetti ma che parla al futuro con un’estetica che anticipa la fine di quelle stesse cose di cui racconta.

Particolare di una parete della camera delle latte nella casa Museo Guatelli
Non sollecita la nostalgia ma stupisce con la bellezza, per le geometrie delle sue disposizioni, per la ripetitività con cui sono presentate le famiglie di oggetti (tutte le forbici, tutte le seghe, tutti i vasi) che sembrano messi lì più per il gusto di stupire che per voler dialogare coi visitatori.
Anzi, dai discorsi riportati del Guatelli, lui pareva più un signore scostante, che non amava “le domande stupide dei visitatori” perché il suo intento era quello di “versare le sue conoscenze, di comunicare”, di “arricchire e di arricchirsi”.
Una psicologia da collezionista seriale che evoca immediatamente un’inclinazione quasi maniacale. Ma che in realtà ha la logica del’ordinatore delle cose del mondo conosciuto, di fronte allo spavento del cambiamento.

Parete della camera degli orologi nella casa Museo Guatelli
Anche noi oggi collochiamo le nostre preferenze su bacheche virtuali come quella di Pinterest, accumulando oggetti dematerializzati che possiamo solo vedere ma non toccare.
Due collezionismi diversi uniti dall’unica aspirazione a scappare dalle possibilità che li hanno generati: uno – quello di Guatelli – sembra rappresentare più un riscattarsi da quel materiale che l’ha inchiodato alle cose della sua terra . Cose fisiche che odorano, si guardano e si toccano, sono ruvide e polverose, cambiano colore a seconda dell’ora in cui le puoi osservare e raccontano una propria storia .

Dettaglio di una parete della stanza dei giochi nel Museo Guatelli
L’altro collezionismo – quell dei social, Pinterest e via dicendo – racconta più di un tempo dematerializzato, che sta ancora cercando un suo linguaggio che riconquisti anche la relazione umana e con la natura per potersi meglio rappresentare.
Intanto godiamoci lo spettacolo della bellezza che le mani e il gusto di questo signore hanno saputo creare: non inchiodiamo i ragazzi ad ascoltare ancora e sempre lezioni di vita che non potranno capire mai completamente, oggi.
Perché quella vita è troppo lontana da questi tempi. E’ un’antologia impossibile questa. Semmai potrà essere solo un’archeologia delle cui bellezza poter semplicemente godere.

Ingresso della casa Museo Guatelli, dove ha abitato Ettore
Cosa c’è da sapere prima di farci un salto:
Il Museo Guatelli si compone di due sezioni: il Museo vero e proprio, con l’ingresso, uno scalone, la stanza dei giochi, il salone, la stanza della cucina e la stanza delle scarpe e delle scimmie.
Nella casa Museo, dove invece Ettore Guatelli abitava, si visitano l’ingresso, la camera di Ettore, la camera della musica, la camera dei vetri o della zia, la camera delle latte, il ballatoio della ceramiche, la camera degli orologi e la camera che non c’è più.

Il ballatoio delle ceramiche nella casa Museo Guatelli
Ettore Guatelli, primo di quattro fratelli, nasce da genitori mezzadri nell’aprile del 1921. Per tutta la vita soffrirà di problemi di salute che lo costringeranno a diversi ricoveri in ospedali e sanatori. Fu proprio lì che ebbe modo di conoscere quelli che divennero i personaggi determinanti per la sua vita come il poeta Attilio Bertolucci a cui faceva da dattilografo e da cui fu aiutato ad ottenere il diploma di maestro come privatista.
Informazioni più dettagliate le trovate sul sito del museo: http://www.museoguatelli.it e ascoltando le appassionate guide che vi accompagneranno nella visita come Maira, dal racconto fresco e coinvolgente o Nelson, coi suoi aneddoti e insegnamenti di nonno e amico personale di Ettore.
“Un museo romanzesco come quello ideato da Ettore Guatelli è la storia di un’esistenza e di un’intuizione,…..
Ciò che vi si apprende, in parallelo al grande scenario delle “cose mute”, è la necessità di imparare a guardare, di ristabilire un contatto con l’oggettività della natura e con la sua rete umana di relazioni ricavandone un senso, ossia un valore al di là del frammento o di ciò che resta.” E. Rimondi
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