
Pomodoro cuore di bue presso le coltivazioni del Podere Stuard – Summer School 2015 di Alma La Scuola di Cucina
“Voi dovete conoscere la materia prima che utilizzate! Dovete saper distinguere cos’è un pomodoro ‘cuore di bue’ da quello che vi viene rifilato alla rivendita!” : con queste parole lo chef Cristian Broglia, insegnante ad Alma Scuola internazionale di Cucina, fissa nella memoria dei ragazzi che hanno partecipato all’ottava edizione della Summer School, uno dei requisiti fondamentali per una preparazione adeguata al mestiere che eserciteranno: la conoscenza approfondita della materia prima.

Lo chef Cristian Broglia durante la raccolta ortaggi – Summer School 2015 di Alma La Scuola di Cucina
Un’esperienza straordinaria per loro, tra i migliori diplomati in Italia negli Istituti Alberghieri, un momento che stimola riflessioni importanti per me.
La scuola, la conoscenza e il fare
D’estate le scuole sono una bella occasione per capire meglio il tema della conoscenza, che è un punto centrale nella modernità.
Una scuola di cucina dovrebbe comprendere anche tutto ciò che è collegato con la sala, il luogo in cui la cena o il pranzo saranno serviti. Quello è una sorta di “palcoscenico” in cui va in scena lo spettacolo del cibo. E gli spettatori sono una popolazione variegata, mediamente non sempre così preparati a capire cosa stanno mangiando, quindi critici inclementi e a volte incompetenti dei piatti serviti. Conoscere quello che viene servito è l’anticamera per apprezzare da ogni punto di vista il pasto che solo da lì in poi potrà diventare un vero momento di piacere. Per questo serve uno chef che sia in grado di preparare cibo “comprensibile”, con materie prime selezionate, attento alla combinazione dei sapori, e per questo servirà anche un responsabile di sala capace di trasmettere al cliente, avventore del locale, il racconto di quanto è contenuto in quel piatto. Il cuoco ne catturerà il palato e il maître di sala, l’attenzione. Un lavoro di squadra che richiede grande sintonia col resto dell’équipe in cucina e con gli addetti alla sala. Un vero e proprio lavoro organizzato, con le dinamiche tipiche della ristorazione, così come lo è il lavoro in azienda col Product Manager (lo chef e lo staff dei collaboratori in cucina) che crea il prodotto e il Direttore Commerciale (i responsabili di sala e i collaboratori in sala) con gli area manager che vendono. Un sistema che in modo analogo ripete attriti ed equilibri dell’ambiente aziendale: la proprietà o la direzione generale devono essere capaci di assicurarne armonia, lavoro di gruppo e sostenibilità economica.
Come in azienda per le diverse professionalità, in un mercato affollato come quello della ristorazione e con una clientela tanto esigente, oggi è fondamentale che ogni addetto del ristorante sia preparato.
Alla Summer School di Alma
Nella giornata trascorsa ad Alma, per vedere cosa succede alla Summer School, ho potuto toccare con mano come si struttura una preparazione qualificata, la stessa con la quale questi ragazzi, futuri chef o maître di sala, ci rappresenteranno nel mondo.
Così giovedì siamo andati al Podere Stuard azienda agraria che si occupa di fare ricerca e sperimentazioni a salvaguardia della biodiversità, per la tutela delle specie antiche. Qui ho avuto un assaggio di una formazione in cui la materia è affrontata direttamente lungo tutta la sua filiera. Il passo successivo è stato difatti quello di recarci nella serra di un’azienda agricola locale a raccogliere le verdure per la preparazione della cena.
Vedere nelle proprie mani, parlando direttamente col produttore, i pomodori, i peperoni, le cipolle e le melanzane, è assolutamente un’altra cosa che andare al supermercato o in negozio. Lì tu guardi il prodotto che ti richiama coi suoi colori, la sua consistenza e il suo profumo, lo scegli, lo riponi nel cesto e lo porti via prefigurandoti già come lo utilizzerai e cosa ne farai e quali sorprese ti potrà regalare quando lo lavori. Palpi gli ortaggi con sensi diversi dal farteli servire da un addetto del negozio o incelofanati al supermercato.
Tutt’un’altra cosa. Si tratta di un’esperienza da mettere nel proprio bagaglio culturale perché servirà nella propria vita lavorativa.
E con il maestro chef non c’è mica tanto da fare i furbi: la divisa deve essere pulita e in ordine, il piano di lavoro altrettanto, serve sapersi organizzare, preparando tutti gli ingredienti necessari, capire le terminologie precise dei tagli delle verdure e dei pezzi di carne, delle loro lavorazioni (es.: tonno di coniglio), delle salse (salsa bearnese, cos’è?) e della pasticceria. Sapere quali coltelli o pentole utilizzare e organizzarsi per mantenere la propria postazione in ordine e pulita. Serve lavorare a stretto contatto anche con tanti altri, in spazi stretti e caldi, senza sgomitare, protestare né fare troppa confusione.

Lo chef Cristian Broglia assegna le preparazioni agli allievi – Summer School 2015 di Alma La Scuola di Cucina
E per quanto riguarda gli addetti alla sala, il maître/sommelier, docente per Alma Wine Academy, Roberto Gardini ci dà una dimostrazione di quali abilità servono. Mostra come sbucciare e tagliare con coltello e forchetta la frutta, come preparare alla lampada le crêpes suzettes e la banana flambée, e come comportarsi in sala, con un sorriso sempre disponibile e uno sguardo vigile a servizio del cliente. Questa figura, per preparare la quale è partito quest’anno ad Alma un corso specifico, è il punto di raccordo tra il cibo servito e l’immagine di un ristorante capace di comunicare la propria qualità in modo completo.

Il Maitre sommelier Roberto Gardini mentre dà prova dell’attività di sbucciare e tagliare con cortello e forchetta – Summer School 2015
Nulla è dato per scontato perché saper fare è un’attività che non si improvvisa in un contesto dove le esigenze sono elevate e dove le professionalità presenti sono numerose. Saper fare è il frutto di conoscenza ed esperienza di lunga data. La scuola serve anche ad accelerare questo percorso grazie soprattutto all’esempio ed all’esperienza che i maestri possono trasmettere.
Forza di volontà, autodisciplina, resistenza alle fatiche ed al sacrificio: non sono elementi che tutti si sentono disponibili a sostenere.
Fare cucina, come tanti altri lavori che hanno a che vedere con la manualità, non è un mestiere per tutti. Non è solo spettacolo, anche se preparare uno spettacolo teatrale per esempio richiede studio, preparazione, attitudine alla recitazione e sacrificio. E lo spettacolo a cui assiste il consumatore andrebbe per questo essere raccontato anche nella sua preparazione dietro le quinte perché solo così il consumatore può essere messo in condizione di capire cosa sta approcciando.
E il cliente?
Ma il cliente che siede al tavolo è in grado di leggere tutto questo? Dall’esperienza sensoriale del piatto che gusta davanti a sè, all’atmosfera dell’ambiente della sala con gli arredi, il profumo e il sottofondo acustico, fino al racconto del maître-sommelier – figura poliedrica, con competenze diverse – da tutto ciò dipenderà la buona riuscita del pasto e il suo apprezzamento.
Non si può essere solo e sempre consumatori compulsivi che, acquistato qualcosa, necessitano immediatamente dopo ancora di qualcos’altro per soddisfare una brama insaziabile di possesso. Anche il cliente deve essere educato e lo si può fare raccontandogli cosa fa chi produce, rendendolo consapevole della sua avventura.
Con onestà ed autenticità, per recuperare le radici dei gesti che facciamo, le origini del piacere.
Il “fare” nella scuola
L’esperienza che ho letto nelle facce dei ragazzi davanti a chi spiegava in modo didascalico era inizialmente quella di subire passivamente la lezione ma subito dopo le loro facce cambiavano quando li si metteva direttamente all’opera, coi prodotti, con le mani, con il fare.
Quando la scuola si apre al paradigma del lavoro nella didattica, essa utilizza un metodo che porta al centro dell’attenzione il rapporto con la realtà. E poiché il lavoro è guidato in prevalenza dall’esperienza, di cui il pensiero è la sintesi successiva, è più difficile manipolare gli alunni al volere dei maestri, quindi sarà più facile lasciare maggior spazio alla creatività individuale.
Il lavoro artigianale, fatto “a regola d’arte”, è l’anticamera per arrivare alla bellezza in modo esperienziale, come risultato del lavoro delle mani sulla materia prima. Questa stessa esperienza è il modo più semplice per comprendere anche la bellezza di una poesia, o di un testo letterario, o di un dipinto o di un’equazione matematica, perché ci introduce al lavoro intellettuale attraverso l’ esperienza reale.
La scuola deve essere un luogo dove il “come si fa” spalanca a domande sul “perché si fa”, dove ”il fare” è il luogo “drammatico” del rapporto con il significato delle cose e quindi il palcoscenico per una maturazione vera dei ragazzi, dei cittadini.
Voglio una scuola così.
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