Molestie uditive….
Nel brusio ininterrotto che ci fa da quotidiano sottofondo, è sempre chi fa più rumore – un rumore spesso anche fastidioso – che riesce a farsi sentire. Ma per chi ha un voce sommessa, emergere dal sottofondo diventa addirittura una missione impossibile. Come si può riuscire a distinguere i suoni dai rumori? Come si fa a cogliere la bellezza degli oggetti quando questa è talmente soffocata dal frastuono del mercato e delle sue logiche che solo prodotti di gusto mediocre o, all’ opposto, super griffati di noti “artist star” si conquistano la scena?
Non è facile la vita dell’artigiano di questi tempi.
In tempi totalmente “fast” dove tutto è veloce e nulla slow non è facile neppure godere di racconti lenti: a me piacerebbe poterne scovare ed ascoltare di interessanti. Guarda caso mi ci sono imbattuta per strada, senza programmarlo, e, com’ era inevitabile, questa storia è riuscita a farsi sentire.
..e piacevoli racconti da ascoltare….
La storia è quella Danilo Sartoni: un viso aperto, schietto, due mani grandi che ti stringono in modo inconfondibilmente franco. Lui è il fondatore di “Mangiafuoco – officina d’arte ed artigianato”, la vera protagonista. Mi accoglie col figlio Dario, suo “aiuto-officina”, fino a ieri responsabile del punto vendita in Via Argentario a Ravenna. Oggi, dopo circa 3 anni di attività, il negozio ha chiuso: i costi del locale hanno tirato la riga del bilancio che titola il “non-più-economicamente-conveniente”.
Passando da quelle parti, ad agosto, dopo l’intervista a Greta, la mosaicista, ho visto la vetrina: impossibile non notarla. Quel gusto dei prodotti esposti e l’ ambientazione dello spazio di vendita spiccavano rispetto alla media dei negozi delle vie commerciali del centro. I centri storici, oggi più o meno rassomigliano tutti: freddi, deprivati della loro personalità tipica, si affacciano sulle strade con le più note insegne in franchising capaci di rappresentare solo marchi forti. Non ci sono più botteghe che rappresentano il cuore vivo e la storia di quel luogo (magari un cuore non c’è neppure più).
“Vai a Roma – come mi dice Dario – e il viaggio fin là non è più in grado di restituirti un po’ di tipico”.

Particolare della produzione di Danilo Sartoni nel suo laboratorio – Mangiafuoco officina d’arte e artigianato – Ravenna
Danilo esordisce come scultore negli anni ’70, proseguendo la sua attività con la riproduzione di ceramiche antiche del ‘400 e, in seguito, con ceramiche dai decori floreali. La passione per il proprio lavoro lo spinge a esplorare scelte talvolta azzardate rispetto al gusto vigente: scelte in cui non è la convenienza commerciale ad orientare la direzione presa. Finchè nel 1978 giunge alla produzione di giocattoli di alta gamma: l’ esordio avviene con il “ Jack in the box” ma il successo è presto sbaragliato dall’ invasione di campo di una famosa azienda italiana che farà copie in serie di un modello acquistato al Macef. Un caso tipico e non raro di scorrettezza commerciale, che però oggi viene ripagato nella stessa moneta con la competizione che le nazioni emergenti hanno ingaggiato ormai da tempo nei confronti delle nostre aziende nazionali.
Il risultato rimane penalizzante per tutti: il piccolo produttore debole soccombe contro l’azienda forte con un’organizzazione ben strutturata e consolidata commercialmente. Sarebbe stato magari più conveniente per entrambi – per non dire corretto – instaurare un rapporto di collaborazione, con Danilo nelle vesti di ideatore di nuovi prodotti, e l’azienda, in quelle di produttore. Un modello reciprocamente vantaggioso ed economicamente sostenibile. Ma questa è un’altra storia, che sa di fiducia e di modalità collaborative, inusuali nel mercato.
Agli inizi degli anni ’80 Danilo frequenta le fiere italiane: Macef, Chibimart e Gift. Alla fine frequenterà solo le due più prestigiose del settore ed all’ estero: Maison et Object, di Parigi, e Il salone del gioco di Norimberga. Ma le fiere, secondo le parole di Danilo, “oggi sono più un luogo dove raccogliere contatti piuttosto che scrivere ordini “.
Per un artigiano questo fa un’enorme differenza, sia in termini di costi che di tempi e risorse umane.
..micromondi da osservare e toccare…
Le produzioni di Danilo e del figlio Dario sono tutte realizzate interamente a mano. Sono marionette e bambole in diversi formati, in terracotta, modellate e dipinte a mano, teatrini in legno che riproducono vecchi boccascena di fine ‘800. L’ispirazione proviene dalla tradizione culturale italiana del teatro d’arte e dalla tradizione artistica della Commedia dell’Arte. Fonti che nella storia hanno rappresentato “una sorta di Paese delle meraviglie dove si perde la dimensione del reale”.
Mondi incastrati come matriosche uno dentro l’altro: quello di oggi che riproduce sogni e visioni dentro quello di ieri, ricco di metafore e simbolismi fantastici. Oggetti piccolissimi, che a guardarli con la lente non rivelano nessun errore se non l’imperfezione del fatto a mano che fa di ogni prodotto un oggetto unico ed irripetibile, con dentro passione, dettaglio e minuzia di particolari. Microcosmi di storia nei micro mondi di queste figure raccontate nei più piccoli dettagli della loro materia. Carte pregiate ritagliate e fissate su oggetti piccolissimi, visi minuti che non raggiungono la dimensione di un’unghia ma resi espressivi da tocchi precisi di pennello e di colore.
Ma c’è ancora qualcuno che si appassioni a cercare nelle facce delle marionette un’espressione e nei vestiti la grazia delle cromie e delle ombreggiature?
Le invasioni barbariche…
Nella sua missione produttiva, che richiede una concentrazione straordinaria, qualcosa inevitabilmente può sfuggire all’uomo artista-artigiano. Probabilmente si tratta degli aspetti più prosaici per chi fa un lavoro che lo appassiona. Tutto quello che è legato al mondo economico ed ai suoi risvolti “laici” di affarismo, business e comunicazione facilmente sfuggono – nel loro valore tattico e strategico di aggressione al mercato – all’ artista-artigiano. Le sue guerre quotidiane dovrebbero in effetti essere quelle con la materia e con le idee. Non quelle col mercato e i suoi corsari.
Qui magari le istituzioni (enti pubblici, associazioni di categoria, fondazioni) potrebbero svolgere il ruolo di facilitatori, facendosi promotori di momenti di valorizzazione dei propri talenti locali con mercati speciali, mostre, ecc. o supportandoli ad affrontare il mercato, creando un marchio che metta a valore il tessuto artigianale locale. Perché queste capacità rappresentano il tessuto culturale e umano del territorio, la sua anima storica, il suo valore da tutelare, ancor prima dei monumenti storici (che peraltro essi stessi restaurano e/o producono).
Ma forse sarà la regola del “nemo profeta in patria est” a persistere nel tempo e nelle teste e ad impedire che si crei questo miracolo.
Cosìcchè il mercato – per il Danilo che commercia oggi – è diventato quello estero: i musei di Rottenburg, Barcellona, Londra, La Comédie Francaise di Parigi, Neiman Marcus di NY. Per l’Italia è tutto difficile. I prezzi, il mercato, le cose ecc.: troppi ostacoli si frappongono ad un sano e semplice lavorare.
Gli stessi prezzi – complesso marchingegno in cui convergono conti sul consumo di materiali, ore lavoro e confronti con la concorrenza – sono un parametro difficile da individuare per rappresentare degnamente il reale valore di un prodotto. Specie se unico e inconfondibile come un oggetto d’artigianato artistico, fatto a mano!
Un articolo letto recentemente proponeva la logica di un prezzo che, secondo il valore emozionale che l’oggetto rappresenta per il cliente, può variare da una base d’asta fino agli incrementi successivi che gli si vogliono attribuire.
Bisognerebbe ripensare meglio, insieme agli attori principali del territorio, il sistema che regola le dinamiche di queste nicchie di mercato, per tutelarle e soprattutto per valorizzare questo ricco patrimonio umano e di lavoro: la nostra economia. D’altro canto, come già ripetuto su queste pagine, il consumatore finale deve essere guidato per avere una cultura dei prodotti, delle materie e del lavoro con cui sono realizzati. Serve la cultura del bello ed un’estetica dell’arte più diffusa.
Nondimeno servono logiche economiche di sistema che permettano al mondo dell’artigianato, chiuso a lungo nelle quattro mura del proprio laboratorio, di ritrovare un senso di rinnovamento e di rivitalizzazione perduti . Le aziende stesse potrebbero concepirsi in modo più “molecolare”, cioè potrebbero trovare proprio in questi artigiani spesso gli ideatori dei loro nuovi prodotti, e creare collaborazioni (Hermès è uno dei tanti esempi di queste collaborazioni). Non c’è sempre il solito modo di produrre e di pensare. Ce ne sono di nuovi che possono servire sia agli artigiani-artisti che alle nostre aziende e che servono per far fronte all’ attuale difficoltà.
Il valore di un oggetto – come dice Danilo – che a distanza di tempo le generazioni successive si ritroveranno ad ammirare in mano e riconosceranno come un bell’ oggetto del passato, è una prerogativa che spetta solo alle creazioni che provengono dalle mani. Oggetti che hanno una storia ed un cuore. Sono la nostra carta di identità che ci permette di oltrepassare il confine del futuro ed al futuro ci presentano con l’autorevolezza e la dignità del lavoro delle persone. Ma questa è un’altra storia, che riguarda valori diversi nel mercato.
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