La storia e le sue “tessere”.
Pensando alla sensazione di disagio che travolge oggi anche il più lucido e consapevole degli ottimisti (se ancora ne rimangono) viene da dire che in giro non c’è molto di cui gioire né da cui sentirsi stimolati “al fare”. Ma se si cerca con altri occhi, ricordando che noi ci raccontiamo e ci pensiamo nel futuro grazie anche al vissuto che portiamo dentro, ci arriverebbero ottime sollecitazioni proprio dalla nostra storia.
Per storia penso a quella fatta non solo di oggetti – di cui alcuni ingombranti, come i monumenti, ed altri più piccoli come i nostri cimeli – ma soprattutto a quella che parla delle persone, con le loro attività, le loro opere sparse sul territorio, il loro esempio e la vitalità che ci ispirano guardandoli. Anche se per istinto vitale la prima cosa che si cerca è la novità, rivivere la storia nell’attualità delle nostre vite, ha un ruolo determinante, soprattutto per il nostro futuro.
Prendiamo ad esempio Ravenna: oggi è una città a tutti nota per il suo passato straordinario che la bellezza dei suoi mosaici racconta. La sua storia ci parla di un’arte – a lungo considerata “minore” – le cui dinamiche nel tempo sono emblematiche dell’evoluzione di molte altre attività artistiche.
Fino all’XI secolo Ravenna poteva vantare 250 chiese di cui molte erano decorate con mosaici. Sono stati i committenti “forti” del periodo, da Galla Placidia a Teodorico (tra il 430 ed il 560 circa), a dare impulso ai suoi splendidi monumenti. Opere architettoniche commissionate da un “dominus”, cioè dal signore del periodo, che voleva lasciare di sé un segno distintivo forte, per meritare visibilità e prestigio, attraverso un forte investimento, sia finanziario che simbolico, nell’opera commissionata. In questo senso il mosaico rivestiva un’ importante funzione didascalica della cristianità, e celebrativa della sua committenza, coinvolgendo sul piano lavorativo cospicue maestranze italiche con competenze miste.
Il mosaico conoscerà la sua fase di declino a partire dal 1200, con l’affermarsi dell’affresco nel Rinascimento: mutata la cultura di riferimento mutano anche i linguaggi che la rappresentano ed i soggetti che le danno impulso e la raccontano.
La ripresa artistica della tecnica del mosaico, oscurata per un lungo periodo, si manifesta a partire dalla fine dell’ 800, grazie a due fatti emblematici: il nuovo gusto artistico ed il bisogno di conservare le tracce del passato, per meglio conoscerlo. Attraverso l’intensificarsi dei lavori di restauro emergerà l’esigenza sia di maestranze locali che della loro formazione in quanto tecnici preparati. Nel 1924 viene così istituito il Corso di mosaico dell’Accademia. La scuola formerà un gruppo di maestranze – i Maestri Mosaicisti, come li definisce Severini – che, per l’alto livello qualitativo dei loro lavori e per la fedeltà alla tecnica bizantina, appresa sui ponteggi di restauro, verrà identificato come Scuola (L. Kniffitz).
La tecnica ravennate è nota come metodo “diretto”; il suo contraltare è il cd “rovescio”, più semplice, creato dal friulano Facchina per decorare a mosaico le grandi superfici. La Bottega del mosaico inventerà anche il “metodo diretto su base provvisoria” per i lavori più complessi.
La tecnica diretta, proprio perché nata dall’attività di restauro dei mosaici antichi, ne sarà l’espressione più fedele e verrà codificata e tramandata attraverso la Scuola per il Restauro del Mosaico di Ravenna. Qui nasceranno altri Istituti di formazione dedicati all’ insegnamento dell’arte musiva: nel ’59, l’Istituto d’Arte per il Mosaico Gino Severini, nel 1963, l’Istituto di Antichità Ravennate e Paleo-Bizantine, facente parte della Facoltà di Lettere. Nel 1984 viene aperta la Scuola per il Restauro del Mosaico della Soprintendenza di Ravenna, dipendente dall’ Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Accanto a queste Istituzioni statali sono stati aperti a Ravenna altri corsi di formazione professionale per il mosaico. Oggi tuttavia stanno attraversando una fase di crisi sia a causa dei nuovi ordinamenti ministeriali previsti per le Scuole Professionali, sia per la carenza di risorse.
L’attività di restauro compiuta sui mosaici ha consentito alla tradizione di diventare competenza. La ricerca tecnica, a sua volta, ha trasformato la competenza – ricodificandola attraverso l’insegnamento nelle scuole – in capacità espressiva e in consapevolezza delle diverse tecniche. Ciò permetterà al mosaicista della scuola ravennate di non essere più solo un mero esecutore di una committenza, ma un suo attivo interprete, quando non un artista. E’ per questa stessa ragione, in virtù della capacità culturale dell’artigiano mosaicista, consapevole dei rapporti tra tecnica e arte, che tanti grandi artisti contemporanei hanno trovato nei mosaicisti ravennati i migliori interpreti delle proprie visioni.
Per contro, se Ravenna è famosa per il mosaico parietale, Spilimbergo (Udine) vanta invece una tradizione nel mosaico pavimentale (soprattutto cocciopesto e pavimenti ‘alla veneziana’). Tale tradizione è qui ben radicata grazie alla virtuosa collaborazione tra fabbriche e laboratori di Venezia. Risale al 1922 l’ istituzione della Scuola di Mosaico, tuttora attiva, che si basa sul cd. “metodo indiretto” su carta, molto economico, più piatto e privo della varietà delle inclinazioni delle tessere tipica della tecnica diretta ravennate. La scuola inoltre, non essendo statale, ma agendo come consorzio privato, non è vincolata ai programmi ministeriali. Gode quindi di maggior autonomia didattica e può così prevedere corsi di 30 ore settimanali di mosaico, formando artigiani bravissimi. Rispetto alla scuola ravennate però, in quanto più orientata alla manualità, la scuola di Spilimbergo dedica meno tempo alla formazione di una “mens critica” nell’allievo.
Un “mosaico” di relazioni di qualità.
La storia del mosaico, qui molto semplificata, si dimostra emblematica del contributo e delle specificità che caratterizzano i rapporti tra il mondo delle istituzioni e l’economia, tra il mondo del fare impresa e la cultura, tra il mondo del lavoro e la formazione.
Laddove c’è un contesto in cui la visione delle istituzioni o di alcune menti illuminate si fa portatrice della vitalità del tessuto produttivo di un territorio, e si rende promotrice attiva della sua cultura – sia artistica che tecnica – le proficue relazioni di sistema generano vantaggi per tutti.
Le relazioni vive tra economia, stato sociale e istituzioni favoriscono il territorio nella sua crescita e nella capacità di proiettarsi nel futuro, in quanto ne conoscono le risorse tecniche e le capacità produttive (sia in termini di persone che di know how). Questo è l’ humus sul quale le attività già esistenti possono crescere e svilupparsi e a loro volta generarne di nuove; questo è il potere rigenerante della storia.
Grazie al fervido intreccio tra visioni imprenditoriali e visioni politiche delle pubbliche amministrazioni locali, tra manodopera e scuola si ottiene un effetto moltiplicatore di opportunità.
Se nell’ antichità la committenza spettava al Principe che promuoveva la realizzazione dell’opera per i propri scopi politici, dottrinali e religiosi, senza alcuna limitazione di fondi, oggi la situazione è molto più complessa e frammentata. Il periodo della committenza forte non esiste più. Lo stesso ente pubblico interviene – per mancanza di risorse – al limite per sostenere la valorizzazione delle realtà artistiche e produttive, in risposta ai bisogni dei cittadini.
Il vuoto di risorse che si è creato tuttavia pur rappresentando una fonte in meno dalla quale attingere per produrre cultura, ha lasciato il posto ad iniziative di sponsorizzazioni private, oggi favorite in Italia anche da una legislazione fiscale agevolativa (decreto Art Bonus).
Inoltre, si è aperto lo spazio all’ autopromozione del lavoro artistico-artigianale anche attraverso la rete, in forme autonome, rompendo un pudore dell’arte che si sottraeva al “mercimonio” per raggiungere destinatari sparsi ovunque nel mondo.
Tuttavia, in un contesto così ampio e “a mosaico” serve un tipo di “qualità” che non può rappresentare le virtù di un singolo soggetto ma va ritradotta come “ qualità delle persone, delle relazioni, dei progetti e dei prodotti.”
Questa è’ la “qualità del fare sapiente e consapevole”. (A. Meomartini membro del CdA Luiss Guido Carli di Roma ) perché oggi il “fare” sta riconquistando la stessa dignità del pensare, anche a partire dai giovani.
** Questo articolo non vuole essere un saggio critico o simili, in quanto non avrei competenze culturali per scrivere in modo specialistico dell’argomento, e riporta solo le mie osservazioni.
Ringrazio invece gli studiosi competenti in merito, come la dr.ssa Linda Kniffitz curatrice del Centro di Documentazione Internazionale sul Mosaico (CIDM) del MAR che con le sue relazioni e la sua illuminante spiegazione a voce mi ha aiutato a mettere insieme questo “complesso mosaico”. Devo menzionare anche il dossier che ho letto dell’Istituto per i Beni artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia Romagna che con le relazioni dei suoi esimi studiosi fornisce a chi vuole capirne di più, materiale preziosissimo di studio. (IBC E-R è un Istituto che ha il pregio di fornirci pubblicazioni e iniziative preziosissimi per la memoria e la cultura dell’arte e dei beni del territorio regionale).
Grazie ancora a Greta Guberti che inaugura la sua bottega laboratorio Venerdì 20 settembre in Via Maggiore 65 a Ravenna (consiglio di farci un salto).
Cara Patti, vedo che non stai con la mente e le mani in mano, ma … produci. E’ sempre un piacere leggerti. Davvero. Ciao. Annalisa
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Che carina !!!! Grazie cara Annalisa !
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