Scene da fotoricordo?
Un tavolo da lavoro invaso da scatole, attrezzi e boccetti, utensili appesi ovunque tra segatura, polvere e qualche ragnatela : questi sono i dettagli di una foto che rimanda nostalgicamente ad un mondo in via d’estinzione o sono solo le tracce di un hobby? Nessuna preoccupazione estetica per gli spazi intorno – quella che più ossessiona gli esteti dei social – può scomporre Francesco: lui si presenta tale e quale è, da solo, con le sue cose, i suoi attrezzi ed i prodotti delle sue mani.
Pensionato di Casina, piccolo Comune dell’Appennino Reggiano, Francesco è un signore con occhi brillanti e curiosi: non va al bar per passare le giornate in cui non sa cosa fare; lui è un uomo sempre indaffarato, dentro al suo laboratorio-casa. Perché lui con le mani sa ‘fare’: sa lavorare il legno, sa costruire tavoli, madie e altre utensilerie, sa recuperare telai per la tessitura, rimettere a nuovo antichi orologi rottamati e tanto altro ancora. Insomma Francesco non sa proprio stare fermo. Da solo è riuscito a ripristinare un antico orologio a sei ore.
Francesco incarna bene l’immagine di un’età – quella della pensione – che non necessariamente deve essere inattiva, ma che anzi può regalare le grandi soddisfazioni del “saper fare” . Quello che lui produce con le mani, grazie alla lentezza del tempo a sua disposizione, gli permette lunghe pause di riflessione e di immaginazione. Ha cioè dalla sua quei tempi lenti che ai più giovani, per rispetto degli standard di produttività aziendale ed alla velocità tecnologica, sono oggi negati.
La manualità, che uomini come Francesco possiedono, non è solo un tratto distintivo delle persone speciali – quelle di un’altra generazione che si è dovuta saper sempre arrangiare – ma è anche una medicina naturale di benessere personale e di longevità. E i nipoti che stanno a guardare non possono che trarne a loro volta grande beneficio, anche solo imparando questo sapere a lungo ingiustamente bistrattato.
Il saper fare delle mani
Da un’altra parte Aldo, restauratore cinquantenne, che ancora oggi, ogni giorno, da più di 30 anni, lavora con le mani, se anche non avesse interessi o hobby, detiene un patrimonio di tali capacità che lo mette in grado, in qualsiasi circostanza, di riuscire sempre a realizzare cose bellissime e di fare quello che vuole. Così, tra le sue occupazioni, nel tempo libero, c’è stata la produzione di quadri particolari,
ad imitazione inconsapevole del più famoso Mimmo Rotella, la costruzione di modellini piccolissimi e dettagliatissimi, e, non da ultima, la capacità di riuscire a riparare e manutenzionare qualsiasi cosa.
Eppure parlare di queste attività trascina sempre con sè una sorta di connotazione nostalgico-sentimentale, da vecchia generazione insofferente alle novità.
Succede fuori dall’Italia
Ma allora perché istituzioni come il Craft Council in Inghiterra stanno spendendosi tanto ed altrettanto stanno investendo per favorire il recupero della manualità tra le giovani generazioni?
Per quale ragione hanno avviato un progetto, “Inspiring the future”, attraverso il quale reclutando volontari, artigiani, professionisti, vogliono portare una testimonianza diretta del loro lavoro alle giovani generazioni affinchè capiscano che le attività manuali possono condurre ad una vita professionale gratificante? affinchè recepiscano i valori e la bellezza del fare a mano? Nel 2016 organizzeranno una serie di eventi con gruppi di makers per incontrare i ragazzi e fare networking (ad oggi sono registrati circa 9.000 insegnanti e 25.000 volontari).
Ciò facilita lo scambio intergenerazionale: gli uni portando la testimonianza delle stampanti 3D e delle nuove tecnologie, gli altri, dimostrando come le abilità si acquisiscano con il tempo e l’esperienza nel lavoro pratico.
Street job da sturtupper
In una società in cui il valore di scambio è diventato l’informazione, anzi, la comunicazione, il contenuto è diventato una componente più sfilacciata e ripartita a beneficio degli argomenti (ashtag) più popolari. Ma il reale contenuto, se ridotto a veloci pillole informative, può in questo modo sfuggire facilmente. Un esempio: si parla con palese entusiasmo dello street food che altro non è che la riproposizione dei vecchi mestieri ambulanti come il gelataio o il venditore di frittelle, o la merciaia, o il venditore di stoffe, o l’arrotino dei primi del ‘900.
Mestieri vecchissimi, come quelli del commerciante-artigiano nomade, che oggi sono accolti col grande entusiasmo delle novità folkloristiche e divertenti da fuori, ma che nella realtà nascondono una vita faticosissima, di sacrificio, di freddo-caldo stagionali che non concededono tregua, e di lavoro duro. Di cui nessuno parla. Ma allora la stessa dignità l’hanno anche i vecchi mestieri manuali, anche se le giovani generazioni non sono motivate ad intraprenderli.
Succede in Italia
Mestieri duri, di cui, se se ne legge la storia, esisteva nel passato una scuola di pratica e di graduale apprendistato. Oggi non se ne parla. Solo alcune regioni – poche (Toscana, Marche e Lombardia, in primis) – promuovono l’artigianato artistico. La Toscana per esempio di recente, con l’osservatorio OMA e la Fondazione Cologni dei mestieri d’arte, grazie al sostegno di banche e fondazioni di origine bancaria, ha creato il sito “Su misura” che si affianca al sito “scuole dei mestieri d’arte” promosso dalla Fondazione Cologni.
Mi chiedo: oltre alla partecipazione di fondazioni bancarie, che possono finanziarie progetti di tale natura e dalla significativa portata culturale, esiste anche un disegno politico per cui certe regioni sono identificate come soggetti protagonisti di produzioni artistiche di tradizione ed altre invece, come l’Emilia Romagna, o la Sardegna o piuttosto la Liguria, il Friuli, ecc., relegate e promosse solo per altre tipologie di produzioni che qualcun altro ha stabilito essere trainanti nell’attualità dei mercati, come la meccatronica, per dirne una? Non è l’artigianato artistico un valore nazionale diffuso e tipico dell’Italia tutta, da tutelare, studiare, promuovere e difendere in tutta la nazione, anche a prescindere da quelli che sono i settori attualmente trainanti? A prescindere cioè dai numeri di fatturato? Sarebbe come dire che la storia e l’italiano oggi non si devono più studiare perché l’Information Technology funziona di più nell’eldorado delle startup e all’Italia quindi servirebbero soprattutto ingegneri. Eppure nei bacini di patrimonio culturale, creati anche solo a scopo di pura liberalità (così come è per la regione Toscana) risiedono i fermenti per fruttare nuove attività: per nuove scuole dedicate (Alma Scuola ne è un esempio di eccellenza per la cucina), per docenti, per il turismo, il commercio e tutte le persone che vi si potrebbero dedicare professionalmente, grazie ad una rete che parte dalle Istituzioni.
Oscar Wilde ribatterebbe che “non c’è niente di più importante del superfluo” .
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