Alma Scuola di Cucina e lo spettacolo dei premi ai suoi talenti .

Gli spettatori e l’accoglienza

Appartengo al genere cresciuto con miti e sogni, quindi particolarmente sensibile a tutto quello che in sé contiene idee anche solo vagamente romantiche. Per questo conserverò un ricordo molto intenso dell’accoglienza di martedì scorso.

L’occasione era una cena, non una qualunque, ma la cena di ALMA, la Scuola di Cucina di Colorno. Menu  “disegnato e realizzato dai maestri Alma in collaborazione con lo Chef Piergiorgio Parini”, così recitava la carta dove ora posso rileggere ogni singolo piatto. A dire il vero non so se esiste un modo alternativo per esprimere come ho “mangiato” quelle portate. Il fatto che la cucina oggi sia assurta a categoria d’arte potrebbe bastare a rappresentare quei piatti come vere opere artistiche. Ognuno rappresentava il trionfo di ingredienti, profumi, aromi e colori combinati con gusto. Insieme, tutto ciò ha creato un accordo di sapori indimenticabili. Difficilmente l’improvvisazione riuscirebbe a promettere tanto piacere.

La rappresentazione

Non solo i piatti hanno contribuito all’esito della cena: se si esclude che la sede era dentro la storica Reggia di Colorno con tutto il fascino dell’edificio, ogni tavolo della sala che ospitava la cena era apparecchiato con gusto, semplicità e accuratezza.

Girasoli al centro tavola, sedie vestite rigorosamente di bianco e personale di sala dedicato ad ogni tavolo, anzi, ad ogni persona. I modi e le attenzioni ricevute in effetti erano degne dei migliori corteggiatori che una donna potrebbe incontrare.  Ma non solo il responsabile di sala, Pierfrancesco Molinari, incaricato di “narrare” ogni volta ai commensali la storia e la vita dei piatti serviti, ci ha accompagnati in quell’esperienza coi suoi modi coinvolgenti. Gli stessi operatori di sala e il sommelier, parlando delle origini delle uve e della loro lavorazione e provenienza, ad ogni vino servito, hanno deliziato i convitati.

Confesso che ho accertato che, pur senza bere, si può crollare lo stesso ubriachi tanta è la forza di simili “vizi”.

Non va omesso il fatto che il contesto era di livello altissimo, non meno dell’occasione di quel convivio: si trattava del conferimento ad  Alma del Grand Prix de la culture Gastronomique assegnato dall’Académie Internationale de la Gastronomie.

Cultura gastronomica: ecco la chiave che apre le porte a tanto sapore e che non nasce solo dall’organo del gusto (la lingua) ma anche dal “cervello, un organo culturalmente (e perciò storicamente) determinato”. In effetti  il piacere di una simile cena altro non è che l’esito di un percorso di qualità che inizia da una scuola autorevole come Alma Scuola Internazionale di Cucina, e che si esprime nei fatti col saper fare’ dei suoi allievi e dei suoi maestri chef, disseminati in tutta Italia e nel mondo, ambasciatori di quello che siamo capaci di fare e di creare

I vincitori dei due premi raccontano il menu

Jaques Mallard, Presidente de l’ Académie Internationale de la Gastronomie, premia lo Chef Piergiorgio Parini Chef dell'Avvenire

Jaques Mallard, Presidente de l’ Académie Internationale de la Gastronomie, premia lo Chef Piergiorgio Parini Chef dell’Avvenire

Un altro premio è stato conferito anche a Piergiorgio Parini come Chef dell’avvenire.

Parini impersona abilità, talento e dedizione e soprattutto un modo di lavorare personalissimo che non si sottrae al confronto con gli altri. Una capacità e un fare artigianali, che vivono attraverso i ricordi e le contaminazioni esterne e che portano a realizzare piatti unici e non convenzionali. Al telefono gli ho chiesto direttamente di descrivermi i due piatti serviti nella serata ad Alma:

  • Chef Parini cosa ha voluto raccontare coi piatti che ha proposto?

“Antipasto di Asparagi , Limone e Angelica e primo di Riso e Stridoli: per entrambi sono partito dal concetto di ricerca e recupero del sapore originario sia dell’asparago che degli stridoli. L’ asparago ha un gusto molto minerale mentre l’angelica ed il limone sono parti di questa mineralità: aggiungendoli si esalta il gusto dell’ingrediente principale. L’emulsione di formaggio di capra che accompagnava la preparazione, in quanto parte grassa, si combinava agli altri ingredienti per allungare il sapore del piatto. Per il riso, il principio seguito è lo stesso: in Romagna gli stridoli tradizionalmente sono utilizzati per tagliatelle condite con sugo di pomodoro o di salciccia. Si mangia così una pasta che solo vagamente ricorda il colore e il sapore originario degli stridoli. In questa preparazione invece il riso viene cotto in acqua e sale, senza brodo: in tal modo diventa un contenitore neutro di sapore che accoglierà ed esalterà l’ingrediente principale. A cottura terminata il riso viene mantecato con succo fresco di stridoli, succo di limone, un po’ di burro acido ed una manciata di parmigiano.”

  • Da cosa nasce l’idea di un suo piatto?

Dall’ottimismo che mi danno le tantissime erbe –talune  anche un po’ particolari – sulle quali sto lavorando da sempre (erbe selvatiche o coltivate, che faccio crescere nel mio orto). Nessun ingrediente ‘extra-locale’: il pesce per esempio proviene da una zona entro i confini tra Ancona e Ferrara. Nessun gambero rosso, astice o capasanta. Faccio una ricerca che parte dai ricordi, senza uno standard preciso, tra tradizione, caso e curiosità. La ricerca di qualcosa di nuovo e personale è per me un modo d’essere”.

A Loanna Giroldi, vincitrice del premio Alma Caseus assegnatole da Renato Brancaleoni, famoso affinatore italiano, direttore del concorso e docente ALMA, ho invece chiesto di raccontarmi il piatto di formaggi servito. La risposta è anche il manifesto di quanto Loanna esprime nel suo locale Toma e Tomi di Carpi:

Selezione di formaggi ALMA Caseus

Selezione di formaggi ALMA Caseus

“Il primo formaggio proposto nella cena era un semistagionato di capra affinato nelle more di rovo e con crosta edibile. Il secondo, un formaggio di latte chiamato Formaggio dei 7 nani, che subisce una lavorazione simile a quella del taleggio ma che si differenzia da quello per la morbidezza della sua pasta e per il sapore . Il terzo formaggio, un pecorino affinato nel fieno estivo, più profumato.  Il quarto ed ultimo, un formaggio di fossa che segue un infossamento all’anno nel rispetto dell’antico metodo con teli di cotone bianchi depositati in fossa a luglio e rivestiti di paglia profumata, appoggiati in sacchi d cotone e rinchiusi nelle fosse in totale assenza di ossigeno. Solo così il prodotto può riuscire”.

Un racconto avvincente da ascoltare; come un’ouverture prima di mangiare (non solo di palato). Loanna ha colto questa sua capacità e il valore di queste narrazioni e le ha espresse come elementi distintivi della sua attività, a Toma e Tomi, un locale per viaggiare tra i gusti e gli aromi dei formaggi artigianali italiani e per celebrare le virtù di 3 ingredienti -latte, sale e caglio – che dalle mani di produttori artigianali trasformano il lavoro in cultura.

Ingresso delle sale di Alma Scuola di Cucina - Reggia di Colorno, martedì 5 maggio 2015

Ingresso delle sale di Alma Scuola di Cucina – Reggia di Colorno, martedì 5 maggio 2015

Anche una cena –  ad Alma soprattutto – diventa un evento culturale.
Grazie!

La città, i burattini, i suoi musei….e la sua gente

“Giochiamo a fare la parrucchiera?” o ”a fare il dottore?” Chi non lo ha mai detto da piccolo? Il gioco del “far finta” lo riscopriamo però senza pudori anche da adulti nel teatro dei burattini.

Che senso ha oggi un burattino e qual’è il valore del “teatro delle figure animate” per noi?

Una vasta letteratura illustra ed approfondisce il contenuto pedagogico dei “cento linguaggi dei bambini. A Reggio Emilia in particolare, il riferimento immediato corre all’esperienza di Loris Malaguzzi e di Reggio Children (se ne è parlato anche in queste pagine). L’ esperienza del “Laboratorio di animazione permanente Gianni Rodari” di Otello Sarzi e Mariano Dolci ha rappresentato la risposta concreta alle domande sopra.

Le mani di Otello Sarzi

Le mani di Otello Sarzi

Nella pratica delle mani che danno vita ai burattini è contenuta tutta l’espressività del corpo impegnato sulla scena a “fare finta che”. Per i bambini è il gioco più bello e antico del mondo che li aiuta ad esprimersi e rappresentarsi. Credere che ognuna delle diverse figure dello spettacolo, che si agitano con la stessa voce pur in personaggi distinti, sia reale, li aiuta a recupera tutte le paure e le emozioni, anche se la finzione è palese. E intanto si crea ordine.

Otello Sarzi

Otello Sarzi, ultimo, con la sorella Gigliola, di una famiglia centenaria di maestri burattinai, è il realizzatore ed innovatore negli anni ’60-’90 del teatro delle figure animate, ed il fondatore, a Roma negli anni ‘60,  del Teatro Sperimentale dei Burattini. Costruire burattini e metterli in scena ha rappresentato tuttavia solo una parte del suo lavoro. Riconosciuto come uno dei più grandi creatori e sperimentatori di nuovi linguaggi, Otello Sarzi è il primo in Italia ad adottare nuove forme e modalità di manipolazione delle figure animate, e lo ha fatto esplorando il potenziale espressivo di materiali nuovi ed eterogenei come il lattice, la gommapiuma, il metallo e gli oggetti di recupero.

Di tutto questo resta un’importante documentazione a Reggio Emilia nella Casa dei Burattini della Fondazione Sarzi.

La Casa dei Burattini della Fondazione Sarzi

La Casa dei Burattini è una Casa-Museo collocata in Via del Guazzatoio. Lo spazio è piuttosto defilato: serve buttarci un occhio quando si è nei paraggi, perché altrimenti si rischia di passarci davanti senza distinguerla. Ma se ci si entra è come fare un salto dentro un altro mondo: assieme alla storia di un uomo e dei suoi burattini è possibile leggere ed interpretare la storia di un periodo culturale del territorio locale.

La prima stanza a cui si accede nella Casa-Museo è quella del teatrino: lì ci sono sia le figure tradizionali, tipiche di queste zone (Fagiolino, Balanzone, Sandrone) che i personaggi della Commedia dell’Arte (Brighella, Arlecchino, Pantalone). Ad Isabelle Roth, moglie di Otello e Presidente della Fondazione, spetta mettere in scena da sola gli spettacoli, in programma nei week end.

Le dimensioni limitate dello spazio a disposizione producono una piacevole cornice intima, sia per i piccoli spettatori che per l’attore: i bambini difatti possono avvicinarsi per toccare i burattini e interagire con loro durante la rappresentazione. Una zona franca, altra cosa del cinema dove lo “ssshht” del pubblico degli adulti mette spesso fine ad ogni libertà di partecipazione.

Nella sala successiva della Casa dei Burattini sono raccolti alcuni degli allestimenti sperimentali di Otello Sarzi, databili tra il 1960 e il 1985. In realtà si tratta solo di una parte dell’intero fondo che conta circa 3000 pezzi.

Dopo il Teatro Sperimentale di Burattini e Marionette di Roma, Otello ripropone a Reggio Emilia negli anni ’70 il Teatro Setaccio: lì faranno tappa molti giovani venuti “a bottega” dal maestro burattinaio e dalla sorella Giliola per imparare il mestiere. Tra i gruppi teatrali “nati dalla bottega” c’è il Teatro delle Briciole di Reggio Emilia (dal 1981 a Parma), il Teatro Mangiafuoco di Milano e il Teatro Tages di Quartu S. Elena.

E oggi?

Alla Fondazione oggi servirebbero fondi per valorizzare l’attività del museo e continuarla, recuperando anche il resto della collezione. I finanziamenti consentirebbero sia di animare continuativamente la Casa Museo, con figure professionali dedicate, sia a sostenere il costo dell’ affitto degli spazi occupati.

Testa di burattino creata da Otello Sarzi

Testa di burattino creata da Otello Sarzi- Casa dei Burattini di Otello Sarzi

Se poco o tanto ci interessano questi burattini una colpa ce l’ha anche il web. In quanto spazio virtuale, frequentato ormai massivamente, la rete rischia di rubarci il lato immaginativo e insieme reale del comunicare tra noi. Può togliere – se fruita in modo “maniacale”- la possibilità di avere altre occasioni di gioco. Il web poi, per il suo lato fortemente conformista, può manipolare nei giovani ragazzi quel sano e personale sviluppo della capacità di relazione.

Anche per questo la Casa dei Burattini della fondazione Sarzi è un patrimonio da tutelare.

Serve intervenire e partecipare

Perché allora ci si scorda che esiste un mondo ricchissimo nelle nostre piccole città e nella stessa provincia? E’ ad esso che si dovrebbe fare riferimento quando si progettano eventi come quelli di Expo, che nulla avrebbero di irraggiungibile se non il mancato appello rivolto a tutti i presenti. Coinvolgere i protagonisti “minori” sul territorio, facendoli emergere dall’oblio in cui sono relegati da chi non li conosce o non li considera tra le “scelte strategiche” sarebbe un’opportunità per tutti.

Quali logiche impediscono di fare tavoli insieme? Potrebbero le istituzioni (associazioni rappresentative di una categoria, enti locali e/o statali, ecc.) sedere con chi agisce nel territorio come attore di un’attività di tradizione (i restauratori sono un esempio), da tutelare, per fare qualcosa presto e subito? Expo poteva essere un’occasione. Se qualcosa non è stato fatto sarebbe utile che l’esperienza aiutasse a rimediare agli errori ed alle omissioni per le prossime occasioni. Insieme.

Anche la Casa Museo della Fondazione Sarzi poteva essere un’occasione da valorizzare e da inserire in un circuito di iniziative. Insieme ad altre. Come esperienza di museo diffuso. A vantaggio dell’autorevolezza di un territorio che si riconosce dalle e nelle persone che lo hanno percorso e che oggi lo animano, con le loro opere e la loro attività.

Speriamo allora nella prossima “fermata”?

“Razza Umana non Robot” – parole di Dario Fo per Otello Sarzi

Mestieri d’arte e artigianato.

Mestieri d'arte - manifesto mostra a Reggio Emilia aprile 2015

Mestieri d’arte – Porzione del manifesto della mostra a Reggio Emilia, P.za Casotti- aprile 2015

“Mestieri d’arte”: questo è il titolo della mostra collettiva di botteghe artigiane e laboratori del centro storico di Reggio Emilia, ora riunite nell’omonima associazione . Il suo battesimo inaugurale risale al 16 aprile scorso.

In giro per botteghe.

A fine marzo, in occasione delle giornate europee dei mestieri d’arte, anche i laboratori e le botteghe artigiane di Milano e di Treviso, contemporaneamente a quelle di Ginevra, Parigi e di altre città europee, hanno tenuto aperti i loro spazi, assieme a musei, scuole ed altre istituzioni.

Ma cos’ispira tanto fermento, a volte sponsorizzato, altre volte semplicemente autoprodotto? L’obiettivo dichiarato è quello di far uscire gli artigiani dalla condizione di invisibilità in cui sono entrati da quando il prodotto industriale, accessibile a tutti ed a buon mercato, ha soppiantato il gusto per la qualità delle produzioni artigiane.

Cosa sono i mestieri d’arte?

Giuridicamente c’è una normativa che li identifica, ma a furor di popolo – come dimostrano i risultati di Astra Ricerche (ricerca quantitiva “gli italiani e i mestieri d’arte” del giugno 2012, commissionata dalla Fondazione Cologni) le figure maggiormente riconosciute come tali sono quelle che più ricorrono in televisione, cioè …..i cuochi …..

Ugo la Pietra, famoso artista designer, li classifica distinguendoli in base alle differenze culturali che li contraddistinguono: c’è l’artigianato artistico per conto terzi, che realizza le parti di un manufatto da assemblare. Ci sono gli artigiani che lavorano su progetto (S. Micelli li chiama gli “artigiani traduttori o modellisti”), cioè artigiani “colti ed abili” che realizzano pezzi su misura per architetti e/o designer (è tutta da scoprire la storia di Giovanni Sacchi,  segnalata da S. Micelli). Ci sono poi gli artigiani della tradizione, che portano avanti competenze sedimentate nel territorio (come i mosaicisti di Ravenna o i maestri ceramisti umbri). All’interno di questo stesso insieme rientrano gli artigiani che realizzano pezzi per il mercato di massa dei OLYMPUS DIGITAL CAMERA“souvenirs” (ceramiche, mosaici, ecc.) ed artigiani che recuperano la tradizione trasformandosi piuttosto in artisti con un proprio linguaggio di produzione (U. La Pietra cita tra i vari B. Gambone ). Di recente si sono aggiunti gli artigiani “metropolitani”, che realizzano oggetti con materiali di recupero (http://www.riciclarte.it/). Ancor più attuale è la popolarità acquisita dai cosiddetti “makers”, gli “artigiani digitali”. Questi ultimi sono giovani, generalmente di provenienza universitaria, ma privi di esperienza manuale e di dimestichezza pratica coi diversi materiali: producono oggetti di design “artistico/sintetico” affidandosi al supporto delle stampanti 3D. Resta un’ultima categoria – quella più innovativa – : si tratta dei designer/artigiani capaci di combinare tecnologia e tradizione per trovare un nuovo modello produttivo che li ricolleghi al mondo aziendale (Micelli li definisce artigiani creativi che autoproducono).

Il settore in generale è oggi alla ribalta in una veste mediatica che vede come protagonisti soprattutto i Fab-Lab – per la novità che rappresenta il movimento – e le start up nate come piattaforme web e marketplace per vendere e promuovere l’artigianato artistico. Oppure se ne parla attraverso immagini di botteghe improponibili nell’attualità, che sembrano più ritagli di un mondo perduto e nostalgico.

Chi sono gli artigiani artistici oggi?

 

Roberta fa la restauratrice di sculture lignee, Giorgio, l’orafo, Gian Domenico, il mosaicista, Anna, la decoratrice di tessuti, Rossano e Antonia, i calzolai che producono scarpe su misura e così via per tutti gli altri che costituiscono l’ associazione dei 18 artigiani che si sono presentati al pubblico a Reggio Emilia, il 16 aprile scorso. Hanno provato a raccontarsi alla città, mettendoci faccia, i loro prodotti e gli attrezzi che utilizzano. Questi sono i segni distintivi che li rappresentano Non sono mode. Sono persone che incarnano valori e competenze che vorrebbero far riconoscere.

L’artigiano, perfeziona le sue abilità attraverso la pratica ed un lavoro lento ed accurato: quali valori può riproporre in quest’economia dove resiste il paradigma della produzione di massa, la velocità e la produzione su scala globale a costi minimi? Che ruolo hanno i mestieri d’arte in un contesto lavorativo  “multitasking” e precario?

Questi artigiani hanno capito che serve far sapere la propria storia quotidiana per far capire a tutti cos’è quel mestiere. Hanno capito che serve raccontare della loro passione per il lavoro ben fatto, del lavoro fatto a regola d’arte . Serve dire della loro voglia di migliorarsi giorno per giorno e del loro attaccamento ad una comunità di pratica. Serve far sentire il loro senso di appartenenza a quelle che un tempo erano le ‘corporazione’, e che oggi sono piuttosto i valori del territorio, detto fino a ieri “distretto”. A disposizione oggi hanno il web ed i suoi strumenti.

Come fare per essere attuali? 

La ricchezza dei mestieri d’arte consiste non  solo nella capacità di produrre pezzi unici ma anche nella grande attenzione verso i bisogni dei clienti a cui viene offerto un servizio su misura. Sono questi i valori su cui impostare una nuova catena del valore per le produzioni  Made in Italy. Detto in altro modo: le aziende, gli studi di architettura e di design, per es., possono avere come prototipisti, modellisti, o produttori di pezzi importanti degli artigiani artistici tradizionali. Basta intercettarli e farsi raggiungere.

Mestieri d’arte, l’associazione di Reggio Emilia, ci ha provato con un primo passo: da vetrina dovrà diventare luogo di contatto e scambio per raggiungere – se lo vorrà – occasioni di lavoro su un mercato più vasto.

E di tutto ciò anche la collettività ne può beneficiare: perchè le persone si possono sentire più coese, meno insicure, con più ottimismo e voglia di parlarsi e confrontarsi. C’è spazio per tutti, anche per lavori a misura d’uomo, pensando ad un ecosistema che recuperi e metta a nuovo un’ economia per le persone, le loro capacità e i loro bisogni. Perché no?Mostra Mestieri d'arte - Piazza Casotti R.E. Aprile 2015