Un’idea del lavoro diversa: l’artigiano del futuro

Convegno "il futuro è nel lavoro artigiano"- Milano 14 05 16

Convegno “il futuro è nel lavoro artigiano”- Milano 14 05 16

“Il futuro è nel lavoro artigiano”: così si è intitolato il convegno di Venerdì 16 maggio, svoltosi a Milano, a Palazzo Lombardia.

Il futuro lavorativo e, in particolare, gli artigiani, sono uno degli argomenti più dibattuti in questi ultimi tempi. Mi immaginavo perciò che sarebbero stati riproposti i soliti schemi delle sedute tra ” soliti noti”: facce da convegno e discorsi di circostanza. E invece devo piacevolmente constatare che, nonostante in Regione non abbiano fornito nessuna chiave di accesso al wi.fi come ospiti e nonostante non sia stato comunicato alcun hashtag dell’evento, i contenuti che escono (e che vedo) sono inaspettatamente all’insegna del nuovo.

Nelle autorevoli introduzioni dei rappresentanti del tavolo (del presidente della Fondazione Bassetti o di Confartigianato Lombardia o del prof. S. Micelli) si ricontrano – più o meno per tutti – i toni di chi non sa bene come andrà a finire, e pone a sé ed alla platea delle questioni vere, non delle iperboli retoriche su risposte note. Tutti hanno l’ ansia di chi porta al tavolo la propria visione per cercare insieme una soluzione.
La parte più straordinaria della giornata riguarda il momento in cui i rispettivi portavoce parlano delle loro aziende artigiane per metterne in luce gli aspetti di innovazione.

 

Wasp Project

Wasp Project

Wasp Project è un’azienda di Ravenna che si fonda – fatto inedito – sulla collaborazione tra studenti neolaureati ed artigiani. Con lo spirito dell’artigiano che affronta le nuove sfide con mezzi limitati e con la cura e l’attenzione sue tipiche, Wasp Project si è data l’obiettivo di arrivare a stampare case di argilla a basso costo con stampanti 3D ed utilizzando la materia prima disponibile a KM zero.

Stampa argilla - Wasp Project

Stampa argilla – Wasp Project

Wasp Project a Marrakech

Wasp Project a Marrakech

Per riuscire a raggiungere questo obiettivo, il progetto si autofinanzia con la vendita di stampanti 3D e dedicando il 50&% dei profitti alla ricerca e sviluppo. Di progetti simili ne esistono già sia in Cina che negli USA. Si tratta tuttavia di gruppi di lavoro strutturati mentre Wasp Project è piuttosto una realtà inusuale, sia nella sua composizione (studenti e artigiani) che nel suo spirito, in quanto il gruppo insieme condivide più che un obiettivo economico, una passione ed una visione. Il valore etico e la condivisibilità del progetto gli hanno garantito dal basso i finanziamenti per la sua sostenibilità senza dover ricorrere al credito tradizionale.

M. Costabeber e la stampa 3D - DWS

M. Costabeber e la stampa 3D – DWS

DWS, Digital Wax System, azienda nata a Vicenza nel 2007, è la versione tutta Made in Italy della sorella più anziana degli anni 90, che già operava nella stampa 3D in ambito internazionale. Gli anni spesi nelle ricerche di uno specifico gruppo di lavoro, hanno generato DWS a cui si deve lo sviluppo di una macchina di prototipazione rapida, a tecnologia complessa (la cd stereolitografia), in grado di dialogare direttamente con polimeri di diverso tipo, e con la quale ora risulta possibile stampare i materiali nella consistenza preferita.

prototipi di gioielli stampati da DWS

prototipi di gioielli stampati da DWS

Oggi il 95% dei prodotti è esportato in oltre 60 paesi e tutta la produzione si fonda sulla cultura dell’eccellenza italiana e sui valori dell’integrazione sociale, culturale, economica col territorio che ospita quella realtà. L’esperienza di DWS, focalizzata in particolare sulla gioielleria, dimostra che le nuove tecnologie non tolgono lavoro ma piuttosto ne creano. Infatti hanno generato nuove figure professionali come l’artigiano orafo digitale, una figura tradizionale che oggi può operare al meglio con le nuove tecnologie. Altre figure professionali in via di sviluppo sono l’addetto alle macchine additive o lo specialista di nuovi materiali. Per prepararle DWS porta avanti diverse collaborazioni; nelle scuole con fab lab, in particolare, saranno attive presenze. Lo spirito vincente di DWS è anche quello che caratterizza l’ artigiano: è il desiderio di trovare tecniche nuove e sempre più efficaci per realizzare oggetti utili.

Lavanderia Lampo

Lavanderia Lampo

La lavanderia Lampo è una lavanderia di abiti e tessuti per l’arredo casa nata nel 1987 a Mortara. Per 22 anni dentro ad un garage, l’attività è stata svolta soprattutto in forma ambulante. Durante un periodo di difficoltà economiche il titolare comincia a frequentare corsi di aggiornamento di vario tipo (dalla comunicazione, al marketing, alle strategie aziendali fino all’e-commerce). La crisi gli fa capire che serve professionalità per poter lavorare in contesti più competitivi e complessi come gli attuali. Oggi svolge servizi di concierge aziendale (maggiordomo in azienda) ed ha applicato un sistema di tracciabilità dei capi e dei trattamenti, è certificata ed utilizza energia pulita ad impatto zero. Ciò che il suo titolare condivide all’incontro di Milano è che la crisi può obbligare a rivedere i propri “asset” culturali ed a ripensarsi. Investire nella propria formazione può aprire opportunità inattese.

divani allo studio - Berto Salotti

divani allo studio – Berto Salotti

L’azienda brianzola Berto Salotti, è un esempio di evoluzione di un’ azienda artigiana grazie alle nuove competenze della seconda generazione. Il figlio Filippo, portando la comunicazione sul web 2.0, ne ha rinnovato l’identità originaria superandone e svecchiandone gli aspetti più tradizionali e meno attuali. Con quello che rappresenta uno dei primi blog, nel 2004, Filippo Berto riesce a spiegare al proprio pubblico il valore delle lavorazioni che ogni singolo prodotto incorpora. Questo consentirà alla Berto Salotti di crescere anche in periodi sfavorevoli e di riuscire a penetrare commercialmente nel mercato statunitense.

Berto Salotti

Berto Salotti

Le 4 esperienze raccontate appartengono al Nord di fortunata economia. Mancavano il sud e il centro Italia, ma i cambiamenti, si sa, avvengono sempre lentamente e subito avvantaggiano le posizioni già favorite.

In un tempo in cui l’innovazione invade tutti i campi e i luoghi, ed è tanto invasiva quanto rapida ed estesa, è l’uomo artigiano a dover fare la parte del nuovo. Gli artigiani oggi sono una categoria molto variegata che comprende artigiani digitali (i cd makers), artisti, artigiani di bottega, artigiani di piccola e/o media fabbrica. Forme diverse di uno stesso mestiere che oggi o si rinnova o soccombe.

Il valore dell’artigianato premia se viene valorizzata le sua capacità di gestire prodotti su misura, con una manifattura più sevice oriented.

Gadget di DWS: sei violette #3D riprodotte con un codice Braille su ogni petalo, per formare una poesia

Gadget di DWS: sei violette #3D riprodotte con un codice Braille su ogni petalo, per formare una poesia

L’artigiano ha già tutti i requisiti richiesti per competere oggi. Bisognerebbe però ripensare le virtù del suo modo di lavorare, nei diversi contesti che la tecnologia sta ridisegnando e della quale ancora non conosciamo completamente il potenziale innovativo (stampa 3D, scheda elettronica Arduino, web, ITC ecc).

Wasp Project alla biennale di Marrakech

Wasp Project alla biennale di Marrakech

Il cambiamento investe tutti: dall’’idea di famiglia, che deve essere più collaborativa, fino ad una scuola che prepari al lavoro che serve e ad una città più smart, cioè attrezzata con una tecnologia al servizio delle esigenze dei suoi abitanti. Anche le istituzioni devono muoversi: serve una fiscalità più leggera, una burocrazia snella, energia pulita, un’ urbanistica adeguata.
Serve una società diversa: creatività, gusto per il bello, apertura alla condivisione, ai bisogni della società e dei deboli.

Serve la generosità di credere che in questo cambiamento c’è un aspetto fortemente emotivo rappresentato dal fatto che “si può anche realizzare la speranza di concretizzare un proprio progetto, un sogno” (M. Moretti di Wasp Project).
Il mondo sta cambiando comunque: meglio attrezzarsi.

Collaborazione, manodopera, manovalanza: le tappe dell’evoluzione di una specie in via d’estinzione

Foto Archivio Museo Manodopera - Fiorano Modenese

Foto Archivio Museo Manodopera – Fiorano Modenese

Il distretto ceramico….
“Ma quanto bevono le vostre operaie!” esclama ingenuo Giuseppe Ballarini, oggi presidente di Bal-Co, azienda di prodotti per ceramica – alla vista di un mastello pieno di bottigliette vuote, “Macchè,- gli viene risposto – aggiungiamo Coca-Cola allo smalto perché così si stende meglio!”.
Con questa perla, inserita in uno dei volumi (Progetto Manodopera edito dal Comune di Fiorano Modenese) che compongono una parte della minuziosa opera di recupero delle testimonianze di chi ha lavorato nel distretto ceramico fin dagli anni 40, all’inizio del boom economico, si apre il sipario su un mondo rappresentativo non solo di una realtà industriale – quella della ceramica dei comuni tra Modena e Reggio – ma di un’evoluzione del lavoro oggi costretta al suo autoridimensionamento. Teatro di questa rappresentazione, di cui il lavoro del progetto scientifico “Manodopera” ne è lo spartito principale, è l’omonimo Museo multimediale di Fiorano Modenese. Si tratta di una sezione che completa il già esistente Museo della Ceramica e che documenta dal vivo della gente come è stata costruita l’eccellenza produttiva del distretto ceramico, oggi leader mondiale del settore.

Foto Archivio Museo Manodopera - Fiorano Modenese

Foto Archivio Museo Manodopera – Fiorano Modenese

..e la sua gente ingegnosa, appassionata…e goliardica
Nello spaccato industriale di questo territorio si esprime un preciso DNA, fatto tanto di ingegnosità – a volte ingenua, ma proprio per questo creativa – quanto di generosità, dedizione e senso di appartenenza, sia fisico che culturale, al lavoro ed alla fabbrica. Un’eredità trasmessa di padre in figlio, a partire dalle lunghe attese dei genitori impegnati, cominciando già da piccoli ad imparare a gestirsi in autonomia. Ma a differenza di altre realtà industriali (come la Fiat per esempio), il settore ceramico prima nasce come realtà artigiana. Per questo rispecchia fedelmente e riproduce tutte le caratteristiche dei suoi protagonisti: gli imprenditori e gli operai.

Ci sono storie che raccontano come il proprietario fondatore della ceramica abbia spesso condiviso con i più fedeli le vicissitudini della sua attività (“il dr Pietro Marazzi alla domenica veniva a trovarmi quando facevo il turno,. mi prendeva a braccetto e mi chiedeva come andava”). E ce ne sono altre, esempio di umiliazioni pesanti, oggi inaccettabili (come gli orari di lavoro estenuanti, in ambienti insalubri e spesso relativamente sicuri).

Ma ci cono anche storie goliardiche, tipiche della giovialità degli emiliani: “in fabbrica non sapevo dove prendere. Avevo delle donne che facevano il decoro a mano, io gli insegnavo. Tra di loro ho avuto tre fidanzate, una alla volta però” (testimonianze tratte tutte dai volumi Manodopera). Insieme, ognuno con il proprio contributo, attraverso esperienze spesso classificabili agli inizi più come quelle del “praticone” che quelle del tecnico, sono state messe in atto innovazioni che hanno condotto la piastrella italiana alla reputazione di cui gode oggi in tutto il mondo.

Foto Archivio Museo Manodopera – Fiorano Modenese

…e il suo sano empirismo
”Mi sa dire lei dottore come mai queste due piastrelle non sono uguali?”, “Probabilmente per il diverso impasto utilizzato”, “Io ho solo usato il vetro di una bottiglia di Coca Cola e, visto che non avevo altro, anche quello di una bottiglia diversa, ma erano tutt’e due bianchi!”. La grande abilità dei “proto-industriali dell’epoca- generalmente agricoltori e commercianti che azzardavano per caso o per gioco l’avventura imprenditoriale – è stata proprio quella di essere estremamente empirici, al limite del folkloristico e di azzardare tutte le strade pur di soddisfare la necessità di produrre. Ma queste caratteristiche, assieme al beneficio reciproco che ne è derivato in termini di benessere ad entrambi gli attori del boom economico, hanno fatto la fortuna del settore, il motore della sua stessa innovazione. Oggi è più facile schernirsi di questa attitudine: si preferisce piuttosto il rigido ma scientifico approccio da nord europeo (leggi : tedeschi) disciplinato e organizzato. In un mercato come quello attuale, più complesso e difficile di quanto fosse al’inizio della storia della ceramica, l’ingegnosità e la collaborazione trasversale tra i diversi comparti della filiera si sono oggi svuotati di significato a beneficio di approcci più schematizzati e rigidi. Spesso ..non meno stressanti e alienanti.

Foto Archivio Museo Manodopera - Fiorano Modenese

Foto Archivio Museo Manodopera – Fiorano Modenese

….e le sue menti creative
Ci sono aneddoti che si spiegano da soli e che raccontano col loro ritmo pezzi di vita industriale unici: “Alla ceramica Cisa di Maranello non sanno che materiali preparare: una piastrella di prova rimane sulla linea con varie applicazioni sopra. Per non buttarla via e non inquinare, qualcuno la mette nel forno e così viene fuori il famoso cotto Cerdisa, per il quale hanno cambiato il sistema di smaltatura.” . O ancora: “Alla ceramica Jolly smaltavano con un mestolo. Nel girare il mestolo cade una goccia sopra la piastrella. Questa goccia, quando è venuta fuori dal forno, bòm! , aveva creato un effetto che ripreso, ingrandito e… accidenti, ragazzi! è venuta fuori la piastrella con la goccia…”

Racconti di creatività che sembrano un po’ un ritratto di vita alla “Totò” d’Emilia, ma che in realtà, pur se considerati per le opportunità di quei tempi, esprimono tutto il valore della creatività locale. Il caso o il destino contavano significativamente, ma per far sì che un evento accidentale si trasformasse in un’innovazione serviva che ci fosse un qualche visionario disposto ad accogliere la novità come opportunità.

Foto Archivio Museo Manodopera - Fiorano Modenese

Foto Archivio Museo Manodopera – Fiorano Modenese

Poi,dalla manovalanza si è passati all’industrializzazione: fine dell’umanità creativa?
“Allora si lavorava con i bracci, poi eravamo diventati un numero”: se all’inzio della sua attività il Premiato Stablimento Ceramico C. Rubbiani – pioniere nel settore – produce ai primi del 900 serie limitatissime, fatte tutte a mano, per soddisfare i gusti e le esigenze delle classi agiate, al crescere della domanda il prodotto viene destinato a mercati più ampi e la manualità diventa sempre più seriale ed asservita alla tecnologia. La stessa attività decorativa, sede deputata alla creazione, subisce negli anni una lenta razionalizzazione industriale. I primi creativi, all’inizio degli ani ’70, riconoscono nel reparto artistico della fabbrica il luogo paradisiaco in cui creare “perché si lavorava anche di fantasia”. “Non si poteva copiare e ci voleva qualcuno che inventasse. Abbiamo fatto delle cose meravigliose per i pavimenti del Vaticano decorati uno ad uno a mano, la sala del cardinale Lercaro a Bologna, una piscina per la principessa del Marocco, enorme e tutta decorata a mano di pesci ed alghe che sembrava di essere dentro al mare.”

Ora tutto può essere fatto al computer: con le tecniche CAD si possono esplorare nuovi ambiti del design e gestire soluzioni decorative e formati in modo più semplice e rapido. Tuttavia sono ancora i tecnici, la loro testa, le loro soluzioni creative, a volte azzardate, fatte anche col cuore, che permettono – o potrebbero permettere – di trovare il giusto equilibrio tra il materiale e la sua decorazione. Qui è il cuore del Made in Italy, lo stile italiano conosciuto da tutti che incorpora sensibilità estetica e cultura dei materiali. Il prodotto ben fatto non può prescinderne.

Oggi le idee necessarie probabilmente dovrebbero essere molte di più, visto che occorre produrre più in termini di qualità che di quantità. D’altronde è proprio nell’aver saputo gestire l’artigianato accompagnandolo verso la produzione industriale che si è fatta la fortuna di questa terra e la sua ricchezza. Ma le cose sono cambiate parecchio, i mercati sono complessi, le regole complicate (la burocrazia all’italiana) e spesso in guerra con le esigenze della competizione globale. Tutto è molto più difficile. E il prodotto ben fatto può essere confuso da altri valori come i contenuti della sua comunicazione più che il suo reale contenuto.

foto decoro

Foto Archivio Museo Manodopera – Fiorano Modenese

Ci serve un contenitore – come la scatola di latta che portava sempre con sé Maryl Streep nella “Casa degli spiriti” – con dentro tutte queste esperienze testimoniate dal vivo della gente.

Lì dentro si potrà attingere al nostro patrimonio di vita. Forse riusciremo a capire meglio chi siamo e ad inventare altre strade, restituendo il lavoro anche a chi non ha vissuto quelle fatiche fisiche ma che tuttavia subisce oggi il malessere e la sofferenza dell’incertezza, delle ansie di un lavoro che non si sa più se durerà, se si troverà, per sé o per i propri figli.

Foto Archivio Museo Manodopera - Fiorano Modenese

Foto Archivio Museo Manodopera – Fiorano Modenese

Tutto quanto qui raccontato è documentato, descritto e approfondito al Museo Manodopera di Fiorano Modenese e nella collana editoriale Progetto Manodopera.
Di recente inaugurazione (aprile 2014), il Museo Manodopera rappresenta un lavoro di archeologia industriale portato al pubblico attraverso la testimonianza delle persone e realizzato attraverso un’operazione di scavo umano nel territorio.
‘Manodopera. L’uomo nobilita il lavoro’, è la sezione multimediale del Museo della Ceramica: 300 metri quadrati di allestimento innovativo, realizzato con soluzioni all’avanguardia da ETT spa di Genova. Qui il visitatore diventa ‘visitattore’, in uno spazio suggestivo come quello dei restaurati sotterranei del Castello di Spezzano.
Manodopera è un percorso esperienziale, curato da Paola Gemelli, Francesco Genitori e Guglielmo Leoni, con il coordinamento della direttrice del museo Stefania Spaggiari, che permette di ascoltare le voci di chi ha popolato le fabbriche. E’ un viaggio nel tempo tra i macchinari e i loro addetti con una guida virtuale.
Gli spazi, sede della sezione Manodopera, sono quattro, (per una superficie totale di circa 315 mq): il primo racconta il percorso dell’argilla dalle cave di escavazione fino ai depositi degli stabilimenti ceramici; il secondo racconta il lavoro; il terzo la manodopera, il quarto è una panoramica su quanto ha messo le “ali ai piedi” delle piastrelle di ceramica: grafica, design, moda, pubblicità, giornali, riviste, sponsorizzazioni sportive amatoriali e professionali, attività sociali.

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Il talento e le sue regole.

Scuola mosaicisti del Friuli - Foto Laila Pozzo

Scuola mosaicisti del Friuli – Foto Laila Pozzo

Arrivi, ti siedi e ascolti mentre non perdi di vista quello che succede intorno.
La signora sui 70, ordinata, bon ton, che parla a bassa voce, pacata, dice: “ mi dispiace che ci sia questa situazione. Mi dispiace per i nostri figli che devono pagare le rette dell’asilo, le bollette. Mi dispiace per i giovani che non hanno lavoro ma anche per quelli più vecchi che non l’hanno più, nè riusciranno più a ritrovarne uno.”

Nel frattempo si avvicinano alle prime file i giornalisti del posto riservato. Una di queste, mentre si dirige verso la sedia, dice alla tipa al suo fianco “io devo sentirmi amata per stare con un uomo”, mentre si mostra nel suo trucco impeccabile, senza un millimetro di nuda pelle esposta. In dieci minuti due mondi si scontrano tra loro e se avessero fatto rumore, non si sarebbero potuti umanamente sopportare.
Eppure qui, alla Fondazione Corriere delle Sera, venerdì 14 marzo si parlava –  per presentare l’omonimo volume edito da Marsilio Editore – delle Regole del Talento, quelle che presiedono i mestieri d’arte.

La regola del talento- Foto Laila Pozzo

La regola del talento- Foto Laila Pozzo

Ci sono anche belle anziane signore, ben imbellettate, come si conviene a chi si propone secondo le regole del buon gusto, della sobrietà e del costosamente low profile. Adoro il melting pot fin dove non raggiunge i limiti di un circolo chiuso un po’ snob.
E’ comunque molto emozionante sentir parlare delle 17 migliori scuole italiane dove si insegnano i mestieri, quelli d’arte.

Continuo a chiedermi – ed a sperare – se promuovere questi argomenti resti una scelta relegata alla seppur utile e generosa filantropia o se si riesca effettivamente a facilitare quei giovani – ed anche i non più tali – che per passione si dedicano ad apprendere un lavoro fatto con le mani. Una scuola intesa come la necessaria anticamera per poter lavorare ed occupare un ruolo sociale di “persona che produce” e non solo una scuola che prepari su argomenti vintage, riservata a studenti sponsorizzati che poi finiranno per non fare dopo più nulla, o faranno solo sporadicamente quello per cui sono stati preparati.
All’incontro viene detto che da queste scuole escono ragazzi che avranno in mano il “futuro del Made in Italy“.

Lavori presso la Scuola dell'Arte della Medaglia - Foto Laila Pozzo

Lavori presso la Scuola dell’Arte della Medaglia – Foto Laila Pozzo

Ma cos’è il Made in Italy? Le parole che sempre si utilizzano per identificarlo sono ‘creatività’, ‘competenza’ ed ‘impegno’: le regole basilari che reggono qualsiasi talento. Ma in realtà il ‘Made in Italy’ sembra sempre più un mito congelato in tre attributi retaggio del passato. Ci sono ancora lavori disponibili per chi entra in queste scuole con l’intenzione di fare quello  per cui viene preparato?
Nessuno all’incontro lo chiede. Nessun giornalista pone la domanda cruciale.
Antichi mestieri di nuovo al centro delle nuove magre politiche economico-sociali.
Il dr Giovanni Puglisi, rettore dello IULM e Presidente della Commissione Italiana per l’ UNESCO, richiama l’attenzione al concetto di “bellezza“, cioè all’attrattività che sta dietro ai manufatti realizzati con minuzia e perizia dalle mani dell’artigiano. Per rendere fruibile questo patrimonio, va educata non solo la manodopera che lo realizza ma anche il pubblico che ne fruisce. Va cioè posta maggiore attenzione al patrimonio di risorse invisibili di cui disponiamo e di cui la museificazione rappresenta la fine che nessuno si  auspica. Questa bellezza deve essere resa attrattiva economicamente. Ma come?

Il direttore della Fondazione Cologni, dr Alberto Cavalli, chiude con parole da incidere quando dice che “nelle 17 scuole, selezionate per il volume ‘La regola del talento’, la voce dell’oracolo si vena di sfumature contingenti. Se conosci la tua storia, il tuo territorio, le sue tradizioni e la sua identità, conoscerai anche meglio te stesso e le tue potenzialità e potrai portarle così a compimento. Si può dire, parafrasando liberamente la voce dell’oracolo di Delfi, che se ‘conosci te stesso, conoscerai l’universo e gli dei’ “.

Quindi l’impegno non può essere solo quello di chi ha curato questo splendido volume (la Fondazione Cologni con il suo magnifico Presidente Franco Cologni e la Fondazion Deutsche Bank) o solo di chi si occupa dell’insegnamento e dell’apprendimento in queste scuole. Direi che si può cominciare partendo da noi. Dalla cura e dall’ interesse di ciascuno per quanto ci sta intorno e per la sua ricchezza.

L’impegno a volte premia. E se non lo fa, ci può regalare impreviste scoperte.